Confermata la vittoria di Netanyahu. Dopo la parentesi dell’ultimo anno, torna alla ribalta elettorale l’ex premier Benjamin Netanyahu, leader del partito nazionalista liberale Likud. Accanto alla destra moderata di Bibi – soprannome con cui Netanyahu è conosciuto – vi è il fronte più estremo capitanato da Itamar Ben Gvir, leader del partito Otzma Yehudit (Forza Ebraica). La preoccupazione da parte della comunità araba è alta. Un malumore è calato su Abu Dhabi dopo le elezioni israeliani, in dubbio il rinnovo del patto internazionale rappresentato dagli “Accordi di Abramo”, a causa della virata a destra della Knesset. «L’ascesa dei partiti religiosi di estrema destra alle elezioni israeliane è un risultato naturale delle crescenti manifestazioni di estremismo e razzismo nella società israeliana – commenta Mohammad Shtayyeh, premier dell’Autorità nazionale palestinese – ciò di cui il nostro popolo soffre da anni».

Il successo di Netanyahu

Un successo personale quello di Bibi che, sostenuto dall’estrema destra e dagli ultraortodossi, è riuscito non solo ad accaparrarsi la maggioranza nel Parlamento israeliano – 65 seggi sui 61 richiesti – ma anche a sconfiggere nettamente il fronte della sinistra, il quale rischia seriamente di non superare la soglia di sbarramento. Discreto risultato invece per il premier uscente Yair Lapid, il cui movimento centrista conquista la soglia del secondo posto. Sale sul podio anche l’estrema destra di Itamar Ben Gvir, vera scoperta, nonché preoccupazione, di questa tornata elettorale. Quella del primo novembre è stata la quinta votazione in poco più di tre anni, con una confluenza alle urne pari al 71,3% dei votanti, segno di un’alta partecipazione della popolazione. «Oggi abbiamo ricevuto un’incredibile espressione di supporto» ha commentato soddisfatto Netanyahu «La nazione voleva un governo diverso».

L’estrema destra è nella maggioranza.

Preoccupazione, da dentro e fuori i confini israeliani, per la rapida ascesa di Ben Gvir e del fronte di estrema destra. Populista nazionalista e oltranzista, accusato 46 volte per reati legati all’istigazione al razzismo e sostegno ad organizzazioni terroristiche, Itamar Ben Gvir ha iniziato la propria carriera come avvocato. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il leader della destra ebraica era conosciuto dagli estremisti come “l’uomo al quale rivolgersi” per accuse di terrorismo e crimini d’odio”. Ha più volte invocato l’illegalità per i matrimoni fra arabi ed ebrei, espresso il sostengo a posizioni radicali e violente, ha sostenuto la rivendicazione per l’annessione dell’intera Cisgiordania, senza concessione alcuna ai palestinesi e si è fatto promotore per lasciare all’esercito maggiore via libera. Da subito ha rilanciato una politica nazionalista, sottolineando, con un refrain non troppo originale, come sia giunto il momento in cui gli israeliani «tornino padroni del proprio Paese». Ora, con ben 15 seggi nella Knesset, l’obiettivo di un ministero è sempre più vicino. «I suoi elettori – quelli del partito Sionista Religioso – sono la parte più debole della popolazione israeliana dal punto di vista economico e quella che ha paura» commenta Eric Salerno, giornalista, scrittore ed esperto del Medio Oriente. Il partito Sionista, secondo Salerno, «ha accettato questo senso di paura» diffuso nella popolazione, promettendo al Paese di poter rispondere a quelle mancanze fino ad allora dimostrate. Parole più moderate, tuttavia, provengono dal capo in pectore del prossimo esecutivo, Netanyahu, che ha promesso di «prendersi cura di tutti» ricordando che «Israele rispetta tutti i suoi cittadini», tentando di glissare, per il momento, sulle posizioni più estreme dei suoi alleati.

Oltre Israele. Le destre nel mondo, le sinistre nell’al di là.

Il risultato elettorale segna una precisa svolta verso destra per il Paese, in linea con altre situazioni politiche europee ed occidentali, chiamate ad affrontare un clima di paura e terrore sociale. Dopo la pandemia, dei quali strascichi siamo ancora tutti testimoni, con la guerra in Ucraina e le tensioni internazionali, la crisi climatica e l’emergenza economica, la più totale mancanza di una seria alternativa che sappia dare risposte concrete e reali alle situazioni emergenziali è sentita come destabilizzante per la maggior parte delle democrazie mondiali. Le alternative una volta percepite come valide, ora sembrano perse nelle fantasie di discorsi arrivisti, mal celando il più totale disinteresse o la più tremenda incompetenza verso le dimensioni reali dei problemi sociali, economici e politici, conducendo ovviamente l’elettorato fra le braccia di chi, con bramose lusinghe, è in grado di cullarlo in tragicomiche promesse di sicurezza e difesa.

 

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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