Immagine dalla serie "Mare fuori 2"
All’alba dello scorso 31 agosto ha perso la vita Giovanbattista Cutolo, giovane di 24 anni che aveva davanti a sé un radioso futuro in ambito musicale (e non solo). Giovanbattista studiava al conservatorio di San Pietro a Majella ed era membro dell’orchestra Scarlatti Camera Young.
“Aveva lo sguardo limpido e sincero, era appassionato e amoroso nei confronti del
suo strumento, del vivere in orchestra. Era un ragazzo sempre sorridente, educato e
rispettoso nei confronti di tutti, del suo lavoro, della musica stessa”. Queste sono le parole con cui Beatrice Venezi, famosa direttrice d’orchestra, lo ha ricordato con affetto.
Giovanbattista è stata l’ennesima vittima di una violenza inaudita ed ingiustificata: è stato freddato da 3 colpi di pistola in pieno centro a Napoli, durante una lite per un parcheggio fuori da un pub, in Piazza Municipio. Tutta la città di Napoli e l’Italia intera si sono strette attorno al dolore della famiglia e la rabbia, la rassegnazione, la sofferenza cercano risposte, cercano una spiegazione.
Perché questa nuova generazione è così violenta? Come si può intervenire?
Sarà forse colpa dei “modelli” di riferimento dei giovani d’oggi?
Da settimane, sui social, ha ripreso vigore l’attacco a film, serie TV e musica che raccontano criminalità e vite difficili. Da chi accusa queste narrazioni di essere le uniche colpevoli di queste atrocità a chi, ancora, sostiene che abbiano in ogni caso un impatto tale sui giovani al punto da portarli a voler “emulare” ciò che viene  raccontato. Ma è davvero possibile? È così netto questo collegamento?
Tempo fa si mosse la stessa accusa ai videogiochi. Poi ai social. Ora nel mirino  troviamo le canzoni di Geolier o di altri rapper, così come le serie  fenomeno di “Gomorra” e “Mare Fuori”.
Ma non c’entra Mare Fuori se un sedicenne decide di prendere una pistola, sparare ed uccidere. La musica, così come i film, raccontano una realtà che esiste già, non la creano. Sarebbe forse la soluzione più facile da trovare per alleviare dolore e sofferenza. Ancora, oserei dire, per lavarsene le mani. Il problema è radicato, molto più profondo, culturale e serio.
Posso ascoltare Geolier, posso guardare Mare Fuori (così come Gomorra, Breaking Bad o Il Padrino) e trarne anche qualcosa di positivo. Anche perché, contrariamente a ciò che spesso si legge, è difficile trovare un elogio acritico della malavita, della mafia o della camorra. Una persona che spara, spara perché in casa ha una pistola e sa come usarla. Un persona che conduce un certo tipo di vita lo fa perché è l’unica vita che conosce.
La maggior parte delle volte queste narrazioni hanno proprio un fine educativo: il male viene raccontato e ne viene esibito il risultato. Ed emerge anche il suo fascino, certamente. Quel fascino funzionale ad una narrazione che poi si trasforma sempre in una presa di consapevolezza. La malavita viene raccontata, ne vengono raccontate le conseguenze. Dietro la “realtà romanzata” c’è il messaggio prepotente, quello vero e che commuove: la vita è scelta.
Puoi scegliere di non salvarti ma puoi scegliere anche di cambiare vita e ricominciare da zero, se solo lo vuoi davvero. In sostanza: il problema é la mancanza di cultura. Tocca lavorare sulla società, certamente non sulle serie TV o sulla musica. Non esistono serie in grado da fare da “modello culturale”, nel bene così come nel male. Diversamente, si dovrebbe forse immaginare che chiunque si imbatta in un certo tipo di narrazione debba automaticamente sentirsi pronto a prendere tra le mani una pistola? Chiaramente non è così. La differenza la fanno l’educazione e la cultura. Quando mancano queste due cose, mancano anche gli strumenti per recepire certi messaggi e per comprenderli.
Voi cosa ne pensate?
Ludovica Italiano

Di Raimondo Bovone

Ricercatore instancabile della bellezza nel Calcio, caparbio "incantato" dalla Cultura quale bisettrice unica di stile di vita. Si definisce "un Uomo qualunque" alla ricerca dell'Essenzialità dell'Essere.

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