Il virus Covid 19 ferma la crescita dei paesi, ma non l’aumento delle spese militari. È quanto emerge dall’incredibile rapporto annuale del Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) relativo al 2020. Nonostante il calo, registrato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), del 4,4% del Pil mondiale, il Sipri denuncia un incremento del 2,5 % delle spese militari dall’anno passato.

In piena emergenza sanitaria, economica e sociale il mondo non rinuncia a saziare la fame dei propri apparati bellici che, sempre più ingordi, continuano a bruciare denaro utilizzabile per altri investimenti. Mentre i paesi in via di sviluppo, e non solo loro, faticano ad uscire dalla pandemia a causa delle difficoltà poste dalla ricerca dei vaccini, dalla riorganizzazione del sistema sanitario e dai gravi problemi di disoccupazione e povertà sociale, 1981 miliardi di dollari vengono investiti negli apparati militari di tutto il mondo. Una cifra da capogiro, che segna un record mai raggiunto dal 1988, quando il mondo entrava nelle fasi finali della cosiddetta guerra fredda. «Aumento della spesa [militare] generalizzata, è incredibile che questo avvenga proprio nell’anno in cui, nel 2020, si avviava la pandemia – così reagisce alla notizia del Sipri il vicepresidente di Archivio Disarmo, Maurizio Simoncelli, intervistato per conto di Vatican News, il quale prosegue -. Questa, che ha messo in evidenza come i sistemi sanitari, sia dei paesi avanzati, ancor più dei paesi in via di sviluppo, siano del tutto insufficienti a fronteggiare emergenze di questo genere».

Stati Uniti sempre primi

Per il terzo anno di fila, eredità della politica trumpiana, Washington ha aumentato le spese militari. Il Pentagono ha ricevuto, nel corso dell’anno passato, la bellezza di 778 miliardi di dollari con un aumento del 4,4% rispetto all’anno precedente. Investimenti, quelli americani, che costituiscono da soli più di un terzo delle spese militari di tutto il pianeta. «Tali aumenti recenti delle spese militari statunitensi possono essere principalmente attribuiti a grossi investimenti in ricerca e sviluppo e a diversi progetti a lungo termine come la modernizzazione dell’arsenale nucleare e l’approvvigionamento di armi su larga scala», ha dichiarato Alexandra Marksteiner, ricercatrice del SIPRI Arms and Military Executive Programme. La nuova dose di ossigeno concessa allo Zio Sam mette in luce, da un lato, le aspettative americane verso nuove sfide geostrategiche da parte di paesi come Cina e Russi e dall’altro, come la passata presidenza non abbia mai rinunciato veramente alla vecchia politica americana del grosso bastone (Big Stick policy).  Gli Stati Uniti ormai arrancano nel tentativo di presentarsi al mondo nelle vecchie vesti di leader mondiale, costretti a ripensare il proprio ruolo fra altre grandi superpotenze (Cina, Russia, India ecc.) rendono il primato bellico, l’unico ancora disponibile, l’appiglio ideale per mostrare ancora una volta un America forte, un America invincibile, un America “great again”.  La nuova presidenza Biden, osserva Diego Lopes da Silva, coautore del rapporto Sipri, nonostante le dichiarazioni formali di cambiamento: «non ha dato alcuna indicazione di tagliare le spese militari».

Un mondo armato

Dietro Gli Stati Uniti, ci sono Cina e India, che coprono rispettivamente il 13% e il 3,7% degli investimenti bellici mondiali. Segue la Russia (3,1%) e Regno Unito (3%). Tra questi paesi la Cina è l’unica, grazie alla crescita del suo Pil, che è riuscita a non aumentare il peso percentuale delle spese militari, nonostante l’effettivo aumento degli appannaggi. Tale aumento prosegue ininterrotto da 26 anni presentandosi come il più lungo incremento delle spese belliche della storia, secondo il database del Sipri. Anche l’Italia segue questa fase espansiva, posizionandosi al tredicesimo posto, ricoprendo 1,5% delle spese militari del pianeta. Il Bel paese nel biennio 2019-2020 ha optato verso un incremento del proprio apparato militare, interessandosi soprattutto della propria Marina, destinando nel 2020, al ministero della Difesa, 24,5 miliardi di euro.  Decisione probabilmente influenzata dalla incessante espansione turca, che per l’Italia rimane il competitor principale per il controllo commerciale e politico del Mediterraneo, vitale per il benessere del paese.

A livello continentale è l’Africa ad acquisire il primato delle spese destinate a fini militari, con un aumento generale del 5,1%, pur rappresentando solo il 2,2% della spesa mondiale. Anche se è nel Nord del Paese, fra Egitto, Algeria e Marocco, che si spendono più soldi per le armi, sono i paesi più colpiti dalla lotta contro le ribellioni jihadiste come il Mali (+22%), la Mauritania (+23%), la Nigeria (+29%), il Ciad (+31%) a registrare i più severi tassi di aumento, primo fra tutti l’Uganda (46%). Fra i paesi che invece hanno registrato una contro tendenza ci sono il Libano (-59%), seguito da Bulgaria e Sudan. Anche l’Arabia Saudita e Il Brasile hanno deciso di invertire la tendenza con dei tagli rispettivamente del -10% e del -3,1%.

Pandemia docet, ma il mondo non ascolta.

La speranza di un mondo post covid più fraterno e meno bellicoso finisce e malgrado il virus sia ancora lontano dall’essere sconfitto definitivamente, i governi di tutto il mondo scelgono di rafforzare i propri eserciti, puntando sulla propria forza bellica. Cresce naturale la preoccupazione verso l’incremento degli apparati bellici mondiali. La destinazione di questi soldi, investiti negli armamenti, avrebbe potuto, forse soprattutto in questo periodo, trovare un diverso utilizzo, come il potenziamento dei nostri sistemi sanitari, l’acquisto e la distribuzione dei vaccini alla popolazione mondiale, la risoluzione delle gravi crisi di disoccupazione che questa pandemia ci lascia in eredità. «La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo, ed è scandaloso, non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi», così si è espresso Papa Francesco alla folla di San Pietro, durante il messaggio Urbi et Orbi, all’incirca un mese fa, denunciando le politiche seguite dalla maggioranza degli stati del pianeta. Il virus ha trovato un mondo disarmato, incapace, sprovvisto di mascherine, di terapie intensive, di sistemi di tracciamento e di distribuzione, con sistemi sanitari fatiscenti e attrezzature datate e questo anche nei paesi cosiddetti avanzati. Rimane da chiedersi cosa sarebbe successo se fossimo stati più preparati. Staremo usando le nostre ricchezze per acquistare le armi più giuste verso le sfide del futuro? La storia, anche quella recentissima, è in grado di darci utili lezioni, se solo noi non fossimo alunni così distratti.

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"