Domenica 26 ottobre si è concluso il campo scuola “Sono un Tipo 1… l’evoluzione 2025”, dedicato ai ragazzi tra i 14 e i 18 anni affetti da diabete di tipo 1. L’iniziativa è stata organizzata dall’Associazione Jada OdV e da A.G.D. Piemonte APS, in collaborazione con i centri di Diabetologia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico Cesare Arrigo di Alessandria, dell’Ospedale Regina Margherita di Torino e dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo, con il fondamentale contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.
Per 4 giorni un’assolata Finale Ligure si è colorata di arancione e verde, accogliendo 37 ragazzi con diabete di tipo 1, insieme allo staff medico ed educativo che li ha accompagnati in questa esperienza unica. Per loro un’occasione di crescita, formazione e condivisione: 4 giorni per imparare a gestire il diabete, ma anche per alleggerire l’anima e sentirsi parte di una comunità.

LE PAROLE DEI PROTAGONISTI – Così ha scritto una ragazza di 16 anni: ‘Mi chiedono spesso se c’è una cura per il diabete e io non so bene cosa rispondere. Una cura definitiva non c’è, ma per me la cura è composta da tante cose. Avevo solo 2 anni e non ricordo molto. So che non è stato facile, tutti hanno avuto paura e io non capivo cosa stesse cambiando. Piano piano sono cresciuta e ho passato tutte le fasi: curiosità, paura, tristezza, ma soprattutto il ripudio del diabete e di me stessa. Ci sono state tante persone che mi hanno aiutato, perché per me la cura più grande sono i miei amici, i miei genitori. La cura per me è mio fratello che si fa mettere la chiocciolina per capire cosa provo. La cura è mia mamma che si assicura sempre che io stia bene. La cura è mio papà che si scusa, pensando sia colpa sua, e che mi ripete ‘se potessi me lo metterei io’. La cura è la mia migliore amica che ha imparato tutto ciò che c’è da fare e persino a cambiare il micro per non far pesare tutto su di me, e a volte non beve per assicurarsi che io stia bene e non vada in ipo. La cura sono i miei amici che non mi fanno mai pesare niente, che mi aiutano, e che ogni giorno mi curano qualcosa che non hanno rotto loro. La cura ovviamente sono i farmaci senza i quali non potrei fare tutto quello che faccio, i dispositivi e tutte le strategie che ho imparato nel corso degli anni. La cura poi è la dottoressa, anche se ogni tanto la faccio impazzire, ma so che fa tutto quello che è meglio per me. Poi un po’ è anche l’ospedale, dove ho vissuto momenti belli e brutti, l’esordio, il primo micro, le glicemie che andavano male. La dottoressa un giorno mi disse di provare a mettere il micro-infusore: io ero piccola e un po’ confusa, ma grazie a quello ho smesso di usare le penne e sono diventata più indipendente. La cura è stata una ragazza di cui non ricordo il nome che, la prima volta che ho messo il micro, mi ha guardata e mi ha capita, dandomi la forza per provare. La cura sono un po’ anche io, ogni volta che una visita va bene, ogni volta che non mi devo limitare, perché so di sapermi gestire e ogni volta che chiacchiero con qualcuno come me e lo convinco a mettersi il micro. O semplicemente lo ascolto. Perché mi rende fiera di me stessa, perché so che una volta quella ragazzina spaventata ero io e ora, per storia ed esperienza, so aiutare qualcuno che è com’ero io. La cura più grande, infine, per me sono questi ragazzi che con uno sguardo capiscono come ti senti, che si preoccupano quando vai in ipo, che condividono con te una parte di loro, anche se li conosci da poco. Questi ragazzi, questo posto, sono tutto ciò che per me è la definizione di cura. Quando sono qui è come se tutto il resto, alla fine, non fosse troppo importante. Sono amicizie reali, sincere, dettate da una cosa che ci accomuna. Quindi, tutto sommato, il diabete lo ringrazio. Perché mi ha fatto capire l’importanza del volere bene e di sentirsi accettati e amati. Finale Ligure 2025. Dove il cuore riposa e l’ansia scompare’.
