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A Cantalupo il pallone non te lo bucano più, non per mancanza di punteruoli, ma per l’inaccessibilità dello storico impianto sportivo “Carlo Arlanti”, il Maracanà per generazioni di scugnizzi paesani in bicicletta.
Carlo Arlanti era un partigiano, caduto durante la resistenza che si oppose al nazifascismo negli anni Quaranta; la madre donò al paese il terreno agricolo su cui giovani volenterosi edificarono il campo da gioco intitolandolo all’immortale memoria di quel giovane morto per la libertà, era la fine degli anni Cinquanta. Nel 1960 il campo ospitò le prime partite della squadra locale, collante di una piccola comunità che si stringeva per scaldare la neonata realtà calcistica: fidanzate, mogli ed amici dei ragazzi in campo affollavano il bordo campo dedicandosi con passione a uno dei tanti effimeri passatempi che rappresentano la linfa vitale dei sobborghi. Qualche tempo dopo il Comune finanziò alcune migliorie, tra cui la recinzione esterna e gli spogliatoi, i ragazzi in campo continuavano a sgambettare, ma gli anni passavano: dalle categorie dilettantistiche si passa agli “amatori”, e da lì in poi più niente; sono venute meno la struttura societaria ed il ricambio generazionale, ed il campo è stato abbandonato al suo destino. Fino a una decina fa la struttura era accessibile e le chiavi del cancello e degli spogliatoi erano reperibili in paese: gli ultimi volontari del calcio assicuravano scampoli di dignità al manto erboso; successivamente la gestione del campo da parte di terzi alimentò la speranza dei cantalupesi di fermare il declino dell’impianto, speranza che poi si rivelò vana. Attualmente il campo versa in condizioni di forte trascuratezza: i due campi da gioco, uno a “undici” regolamentare ed uno a “sette”, sono ricoperti da erbacce, i magazzini sono fatiscenti anche a causa delle incursioni che hanno causato danneggiamenti alla struttura mentre sugli spogliatoi fa capolino un’inquietante copertura in Eternit, la letale fibra di cemento-amianto responsabile di migliaia di morti: il cancello tristemente chiuso da un lucchetto pone la lapide su ogni possibile iniziativa.
Difficoltà non da poco, ma che non sono nulla rispetto a quelle che deve aver sopportato il partigiano Arlanti, pertanto in nome della sua memoria ed in nome del luogo di aggregazione che rappresenta per il paese di Cantalupo non è utopia pretendere che l’impianto torni ad avere la dignità che merita: anche in un contesto più ampio di collaborazione con società sportive affermate.
Nei sobborghi limitrofi non è vero il proverbio “l’erba del vicino è sempre più verde”; se a Cantalupo il campo “c’era” a Casalbagliano il campo “c’è”, ma non per molto. Il grazioso impianto che sorge nel cuore del paese, tra le villette e la strada principale, rischia di raggiungere il campo di Cantalupo nel cimitero dello sport in quanto la già difficoltosa gestione economica della squadra, militante in Terza Categoria, è aggravata dall’avvoltoio della crisi, che si concretizza nell’esponenziale aumento dell’affitto della struttura da parte del Comune. La Polisportiva Casalbagliano nacque il 3 settembre 1984 come espressione sportiva dello spirito del paese, quasi trent’anni di passione che rischiano di inaridire come un campo abbandonato. Le difficoltà economiche che aleggiano sulla società hanno spinto la dirigenza a valutare qualsiasi ipotesi possa scongiurarne la fine anticipata: se i paesi limitrofi o le società con un ampio settore giovanile fossero interessate ad una collaborazione questo è il momento di farsi avanti. Lo scopo di questo articolo è sensibilizzare le istituzioni e mobilitare i privati nella missione di strappare dal declino queste due realtà sportive, che rappresentano per il sobborgo che le ospita molto più che una metratura al catasto: quel fango intriso di sudore è la meta ideale di ogni giovane amante dello sport e di ogni paese amante degli sportivi.

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