La Nigeria bagnata dal sangue: violenze e attentati nel nord-est del Paese

“Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata” così recita un famoso proverbio africano. Questo è quanto sta capitando nel Nord-Est della Nigeria, dove le violenze fra gruppi terroristici si ripercuotono drammaticamente sulle vite dei civili. Il conflitto sociale generatosi tra i pastori Fulani (musulmani) e gli agricoltori (cristiani) nel corso degli ultimi 20 anni si è aggravato con la rivalità insorta tra i gruppi terroristici di Boko Haram e di Iswap, la provincia dello stato islamico in Africa occidentale, i quali competono per la supremazia nella regione a danno di coloro che nulla hanno a che fare né con l’uno né con l’altra organizzazione.

Le difficoltà di un popolo alla fame

Dalle ampie sale dell’Aula Paolo VI giunge l’appello accorato del Papa che, nell’udienza generale del 29 settembre, ha riferito «con dolore» degli attacchi armati avvenuti nei villaggi di Madamai e Abun, sollecitando la preghiera «per coloro che sono morti e per quanti sono rimasti feriti e per l’intera popolazione nigeriana e auspico sempre che sia garantita l’incolumità di tutti i cittadini». Una regione, dunque, quella del lago Chad, bagnata dal sangue delle violenze che coinvolge un’area con una forte mobilità umana, dove confini e frontiere sono concetti assai relativi. Le violenze, infatti, non si limitano all’interno della sola Nigeria, ma coinvolgono tutta l’ampia porzione di territorio bagnata dal lago Chad. «Parlare di confini in quella regione del mondo – fa presente il professore Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali (Cesi), in un intervista rilasciata presso Vatican news- lascia un po’ il tempo che trova. I confini in quella regione sono utili per le mappe, per i cartografi, ma non certo per il territorio. Il controllo delle aree di frontiera è impossibile. La mobilità umana sia in senso positivo, in termini di migrazione e di commerci, sia in termini negativi, quindi come libertà di movimento dei gruppi terroristici, è altissima». I gruppi etnici orbitanti intorno alle coste del lago, spesso minoranze fortemente discriminate e costrette a vivere ai margini della società, soffrono la povertà che caratterizza quella regione. Molto più che altrove, inoltre, il cambiamento climatico contribuisce ad impoverire una regione che, tutt’altro che ricca, può contare esclusivamente sulle proprie risorse naturali: pascoli, boschi e fertilità del terreno.  Se a questo si aggiunge le difficoltà della Nigeria, e dei paesi limitrofi, nella gestione dell’attuale boom demografico è facile immaginare un quadro di riferimento tutt’altro che roseo. Molti fra coloro che soffrono la discriminazione e le condizioni di povertà vengono irretiti dalle promesse di miglioramento socioeconomico che le organizzazioni jihadiste offrono, ma che raramente sono disposti a realizzare. Ne consegue che la regione diventa un bacino di reclutamento e una fortezza di insediamento fondamentale per tutti coloro che, promettendo riscatto sociale, fanno della lotta armata contro le istituzioni centrali la propria bandiera. Per questo, soprattutto i giovani, vedendosi abbandonati dalle istituzioni, relegati al proprio stato di miseria e privati di ogni opportunità di ascesa sociale, non vedono altra soluzione che affidarsi alla capacità gestionale e amministrativa di questi gruppi armati, contribuendo ad alimentare la loro capacità d’azione. Prosegue nella sua spiegazione il professor Di Liddo «I problemi economici favoriscono tensioni. Il terrorismo prima di essere un fenomeno politico, e se vogliamo ideologico, è un fenomeno economico-sociale. Se gruppi umani decidono di aderire a determinate organizzazioni violente lo fanno perché sono in una disperazione tale da non vedere altre alternative».

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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