«Taiwan farà tutto ciò che è necessario per difendersi. Non ci piegheremo», così la presidente Tsai Ing-wen risponde ai giornalisti in seguito agli sconfinamenti di caccia cinesi nello spazio aereo taiwanese in corso in questi ultimi giorni. Ben 150 aerei cinesi, nell’arco di 4-5 giorni, hanno compiuto incursione nella zona d’identificazione aerea difensiva di Taipei. Una tensione fra i due stati assai seria, la «più seria negli ultimi 40 anni» secondo il Ministro della Difesa Taiwanese Chiu Kuo-cheng.

L’espediente di Pechino, la risposta di Taipei

Una vera e propria provocazione da parte della Cina, volta a dimostrare l’intenzione di Pechino di riprendersi, quella che considera essere una sua provincia ribelle. Di certo non sono d’accordo i taiwanesi, che considerano le mosse della Cina una deliberata aggressione verso la propria indipendenza. Con le parole della presidente, Taiwan lancia un monito per la Cina e per tutti gli stati del pacifico, avvertendo delle «catastrofiche conseguenze» che la caduta dell’isola avrebbe per la sicurezza del Pacifico. «Sarebbe un segnale – spiega Tsai Ing-wen – che nel contesto globale dei valori odierni, l’autoritarismo può avere la meglio sulla democrazia».

I raid aerei non solo servono a dimostrare la capacità di combattimento dell’aeronautica cinese, in grado di minacciare pesantemente la sicurezza dell’isola di Formosa, ma sono, per Pechino, un modo per verificare la preparazione di Taiwan, creando dei precedenti significativi sui quali nascondere poi l’eventuale piano d’attacco. Secondo Lyle Goldstein, prossimo direttore dell’Asia Engagement for Defense Priorities, «l’Esercito popolare di liberazione sta testando e mettendo sotto pressione le difese taiwanesi. Una volta che a Taiwan o altrove sarà normale vedere grandi formazioni aeree cinesi nelle vicinanze, ciò aiuterà Pechino a mascherare un vero attacco. È un espediente classico». Segno del fatto che l’attacco programmato non può essere troppo lontano nel tempo. Secondo le stime di Taiwan, la Cina compirà la sua invasione su vasta scala entro 3-4 anni. «Entro il 2025, la Cina ridurrà i costi e gli attriti ai minimi. Ha la capacità ora, ma non inizierà facilmente una guerra, dovendo prendere in considerazione molte altre cose» è quanto dichiarato dal ministro Chiu Kuo-cheng, lo scorso mercoledì al Parlamento nazionale.

La modernizzazione delle Forze armate è diventata quindi per Tsai Ing-wen e per il suo governo una questione della massima urgenza e di assoluta priorità. Di certo la piccola isola di Formosa, la Bella, non può sperare da sola di contrastare il colosso cinese. L’obiettivo è quello di rendere Taiwan un obiettivo meno appetibile per le voraci fauci del dragone, al fine di rendere più costoso possibile qualsiasi attacco diretto contro Taipei. Il piano quinquennale di spese militari extra-budget, presentato al parlamento, prevede infatti un investimento di circa 7,4 miliardi di euro, 240 miliardi in dollari taiwanesi, soprattutto per navi da guerra e missili, al fine di rendere l’isola un “porcospino” non facilmente aggredibile. «Se la sua democrazia e il suo stile di vita sono minacciati – ha dichiarato nella conferenza stampa Tsai Ing-wen al seguito dei raid aerei- Taiwan farà tutto il necessario per difendersi». Per tali motivi alcuni esperti militari, fra cui Goldstein, si dicono pronti a scommettere che la Cina non sarà disposta a concedere a Taiwan il tempo per prepararsi: «Per paradosso, i passi presi per riempire i spazi vuoti nelle difese di Taiwan potrebbero spingere Pechino ad attaccare – spiega Lyle Goldestain in un intervista rilasciata ad Asianews – Ad esempio, nel 2023 e nel 2024 Taipei riceverà un’importante fornitura di missili anti-nave dagli Stati Uniti. I cinesi potrebbero attaccare prima che questi sistemi d’arma diventino operativi? Si potrebbero».

L’Occidente nel Pacifico e lo sbarramento di Pechino

D’altro canto, gli Usa e gli altri governi della regione guardano con preoccupazione l’escalation militare in corso nell’area. Washington ha dichiarato di «comunicare privatamente» con la Cina, sostenendo una risoluzione pacifica del contrasto, mantenendosi formalmente fedeli alla politica dell’”unica Cina” pur ribadendo, dall’altro canto, il proprio impegno al fianco dell’isola, definito «solido come una roccia» da Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca. L’amministrazione Biden ha espresso la sua preoccupazione per quanto riguarda «le attività militari provocatorie della Repubblica Popolare Cinese nei pressi di Taiwan, che destabilizzano – secondo una nota del portavoce del dipartimento di Stato Ned Prince – e minano la pace e la stabilità regionali». «Sollecitiamo Pechino- conclude la nota – a porre fine alle sue pressioni militari, diplomatiche ed economiche su Taiwan». A tal fine Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, è stato inviato in Svizzera a Zurigo per discutere con i Yang Jiechi, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, su alcune importanti questioni che vedono contrapposte le due superpotenze, fra cui Taiwan e il commercio.

Anche l’Australia, visitata in questi giorni da Joseph Wu, ministro degli Esteri di Taipei, si è espressa a favore di «una regione indo-pacifica sicura, prospera e basata sullo stato di diritto» giudicando, al pari del Giappone, le mosse della Cina come una seria minaccia per tutta la zona indo-pacifica.

Mentre Taiwan tenta di perorare la sua causa presso le potenze straniere, conscia che solo l’intervento militare americano, in caso di lotta armata, sarebbe la sua unica speranza di contrastare l’avanzata cinese, la Cina guarda con il fumo degli occhi l’interferenza della comunità internazionale in quelli che ha sempre considerato come affari interni della Cina: «Chiunque tenti di opprimere la Cina si scontrerà contro una Grande Muraglia di acciaio» ha dichiarato Xi Jinping di fronte alle 70 mila persone riunite in piazza Tienanmen a Pechino, per i cento anni della fondazione del Partito, sottolineando l’impegno del suo governo per la riunificazione del Paese.

Daniele De Camillis

 

 

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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