Prosegue ininterrottamente la protesta dei camionisti canadesi contro le misure anti-Covid.  Dal 29 gennaio, infatti, i camionisti nordamericani hanno bloccato l’Ambassador Bridge, tra i più importanti valichi commerciali del Nordamerica, paralizzando Ottawa da più di due settimane. Il sindaco della città Jim Watson ha definito la situazione «del tutto fuori controllo», dichiarando lo stato d’emergenza. «Siamo numericamente inferiori e stiamo perdendo questa battaglia» è la dura constatazione del primo cittadino, il quale per ora non sembra ancora intenzionato a richiedere l’aiuto dell’esercito. Gli stessi residenti, tuttavia, stremati dall’occupazione dei truckers si stanno organizzando per avviare una class action milionaria contro il cosiddetto «Freedom Convoy», mentre in alcune aree picchi di tensione sono stati raggiunti tra i dimostranti e gli esausti cittadini.

La protesta, tuttavia, non sembra intenzionata a finire. Accanto a Ottawa anche Toronto, Québec City e Winnipeg si uniscono alla lista delle città canadesi occupate dai dimostranti. Numerosi i falò accesi lungo le strade per combattere il freddo, mentre castelli gonfiabili per bambini sono stati gonfiati tutto intorno al parlamento. Quasi a schernire l’operato del governo.

La protesta è iniziata come reazione da parte dei camionisti dell’imposizione vaccinale, decisa dal governo federale, per tutti coloro che attraversano la frontiera statunitense. Nel corso di queste due settimane, tuttavia, la manifestazione si allargata verso più ampi obiettivi, definendosi contraria a numerose misure anti-pandemiche e dichiarando apertamente la volontà di far cadere il governo Trudeau. I legami del movimento con le forme più estremiste della destra nordamericana, comprovati dalle numerose bandiere naziste e confederate vistesi sventolare lungo le strade della Capitale canadese, sono stati documentati dalla Canadian Anti-Hate Network. Non è un caso, d’altronde, che lo stesso Donald Trump abbia dichiarato il suo pieno sostegno al movimento di protesta.

La protesta canadese” fa scuola” all’estero.

Ma la protesta non rimane confinata nel Nordamerica e al pari del Covid il rischio è la sua diffusione pandemica. Il Belgio ha già vietato l’accesso ai camionisti aderenti al «Convoglio della vergogna», come ribattezzato dal segretario di Stato francese agli Affari europei. Nel frattempo, i dissidenti del green pass sono riusciti a raggiungere Parigi, rendendo vani i tentativi da parte della polizia francese e dello stesso presidente Emmanuel Macron di dissuadere i manifestanti dalla loro marcia. I ribelli hanno raggiunto il cuore della città. Numerosi i disordini ed i tafferugli con le forze dell’ordine presso i famosi Champs-Elysèe, oltre 300 le multe e una ventina i fermi attestati. «Siamo tutti stanchi di quello che abbiamo attraversato in questi due anni. – riconosce Emmanuel Macron durante un intervista rilasciata al quotidiano Ouest-France – Questa fatica si esprime in diversi modi: disordine in alcuni, depressione in altri. Vediamo una sofferenza mentale molto forte, tra i giovani e meno giovani. E a volte, questa stanchezza si traduce anche in rabbia. Lo sento e lo rispetto. Ma – conclude il presidente – chiedo la massima calma».

La Nuova Zelanda in tumulto.

È in Nuova Zelanda, tuttavia, che le proteste hanno trovato un terreno fertile. Dall’8 febbraio, infatti, anche Wellington, capitale neozelandese, ha visto una fila di camion e camper bloccare le strade intorno al Parlamento, protestando contro le misure sanitarie e l’imposizione vaccinale.  Con frasi come «ridateci la nostra libertà» e «la coercizione non è consenso» una rumorosa minoranza ha deciso di far sentire con forza la propria voce. Ad oggi sono circa 120 gli arresti avvenuti durante le operazioni di sgombero, mentre il premier neozelandese, Jacinda Ardern, non sembra essere minimamente intenzionata a ricevere i manifestanti.  «Il novantasei percento dei neozelandesi è uscito e si è vaccinato, il che ci ha permesso di vivere ora con meno restrizioni a causa della protezione aggiuntiva che ciò ha fornito» ha sottolineato a Radio New Zealand.

Da circa due anni i confini del Paese sono stati chiusi e ancora oggi, per chi arriva dall’estero, resta l’obbligo di quarantena sottoposto alla rigida sorveglianza delle forze dell’ordine. Solo dal 27 febbraio, infatti, i cittadini neozelandesi vaccinati in Australia, potranno rimpatriare senza essere sottoposti a quarantena. Tuttavia, per il resto del mondo, fatta eccezione per i cittadini residenti all’estero e 5000 studenti selezionati, le porte del paese rimarranno chiuse fino ad ottobre del 2022. Misure rigidissime quelle adottate dallo Stato insulare, che gli ha consentito però di registrare un tasso di incidenza del virus tra i più bassi del mondo, senza incidere significativamente sull’andamento dell’economia nazionale.

Le difficoltà del Nordamerica

Diverso invece è il caso del Canada, che ha raggiunto, lo scorso 14 gennaio il picco dei contagi, con oltre 40000 casi registrati in un giorno. Anche il versante economico, purtroppo, non è dei migliori; l’aumento della disoccupazione, salita al 6.5%, ha visto nel solo mese di gennaio perdere 200.000 posti di lavoro, mentre l’inflazione ha gonfiato i prezzi al consumo del 4,8 %. Le proteste, di certo non estranee al malumore generale del paese, tuttavia, contribuiscono a danneggiare l’economia nazionale.  A causa dei blocchi dei camionisti, infatti, i gruppi Toyota, General Motors, Ford e Stellantis sono stati costretti a cancellare o a ridimensionare la produzione. I costi della paralisi si stimano intorno ai 300 milioni di dollari al giorno. «Stanno cercando di bloccare la nostra economia, la nostra democrazia e la vita quotidiana dei nostri cittadini» ha dichiarato il premier Trudeau in Parlamento riferendosi alle proteste, garantendo che il governo «impiegherà tutte le risorse per riportare la situazione sotto controllo». In questo senso il presidente sta valutando la possibilità, per la prima volta nella storia del paese, di ricorrere all’Emergencies Act. Istituito nel 1988, l’Emergencies Act, è stato pensato per situazioni urgenti e critiche per i quali è necessario una temporanea attribuzione di poteri straordinari concessi all’esecutivo e alle forze dell’ordine al fine di risolvere eventuali situazioni critiche he possano mettere al rischio la salute, la vita e la sicurezza dei cittadini canadesi. Se per il Canadian Civil Liberties Association le ribellioni no-vax possono essere considerati dannose per l’economia del paese, ma non ancora minacce all’incolumità dei cittadini, il presidente Tradeau, invece, sembra valutare con serietà la possibilità di ricorrere a tale misura straordinaria. Per un periodo limitato di tempo, 30 giorni, l’esecutivo avrebbe così il potere di chiedere alle banche di congelare i conti personali dei riottosi, senza la necessità di passare per un’ingiunzione del tribunale. «Vogliamo mantenere i canadesi al sicuro, proteggere il lavoro delle persone» afferma il presidente, garantendo che tali misure sarebbero «limitate nel tempo, ragionevoli e proporzionate», senza la necessità di dispiegare l’esercito per le strade.

Daniele De Camillis

 

 

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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