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Il cappello è nato nell’antico Egitto, la parola dal latino ‘cappellus’, piccola cappa atta a riparare il capo, passa per la Grecia, per l’Asia, fino ad arrivare in Europa.

È curioso l’utilizzo di questo accessorio, che inizialmente funge da strumento riparatore, ma ben presto diventa un forte simbolo culturale, che colloca al di sopra chiunque lo indossi. Diventa, così, espressione di creatività e originalità, di appartenenza ad un ceto sociale elitario, per i materiali pregiati con cui era fatto.

Si va dal feltro di lana al pelo di castoro del re Carlo VII, dalle piume ai nastrini alle fibbie, dalle parrucche cotonate al cappello a tre punte seicentesco di Luigi XIV.

L’800 è il secolo del cilindro maschile e della paglia toscana femminile, ma ben presto è Alessandria con Giuseppe Borsalino a spostare l’epicentro della produzione manifatturiera del cappello e a diventare Il Cappello per antonomasia.

L’arte del copricapo si diffonde a macchia d’olio in tutta l’Europa e nei primi anni del XX secolo la produzione di cappelli rappresenta un ramo importante dell’economia italiana, un vanto Made in Italy che incornicia i volti più disparati, simbolo di eleganza e prestigio sociale.

Poi con il ’68 e gli anni ’70 il cappello perde il palcoscenico e viene osteggiato come simbolo borghese, resiste indiscusso in Gran Bretagna grazie alle teste coronate e all’aristocrazia che continua a sfoggiarne le forme e i colori più disparati.

Il cappello non ha mai perso il suo fascino e già dallo scorso inverno è tornato in voga nella moda femminile, gli addetti ai lavori, dicono che sarà il must per il 2021.

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"