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I solitari asceti erranti “Non tutta la foresta è di legno di sandalo;anche i coraggiosi sono pochi;così come le perle sono rare nell’ oceano così i Sadhu esistono al Mondo” (Guru Kabir Sahib) I Sadhu ( “sant’ uomo” in sanscrito) sono induisti che credono nella fine delle reincarnazioni e nella dissoluzione nel divino; per raggiungere il loro scopo decidono di rinunciare ad ogni bene materiale e ad ogni legame con la società e la famiglia vivendo una vita di meditazione e mortificazione. Storicamente i Sadhu sono presenti in India e Nepal fin dalla notte dei tempi; nel V secolo a.C. Buddha si unì a loro per cercare l’ illuminazione.
Alessandro Magno durante la sua spedizione in India (circa 300 a.C.) li dipinge come “filosofi nudi”; Salgari li descrive meno elegantemente come “scheletri incartapecoriti e ricoperti di cenere;con barba e capelli incolti lunghi fin sotto la cintola” (“I misteri della Jungla nera” 1895); anche Giordano Bruno li cita nel “De Magia”. A sottolineare il loro distacco dalla realtà terrena i Sadhu non indossano abiti; se non qualche straccio attorno alla vita e raramente collane al collo; i lunghi capelli vengono raccolti in dreadlock e la barba rimane incolta anche a vita; i santoni devoti a Shiva cospargono il loro corpo della cenere delle pire funebri simbolo di morte e rinascita; sottolineando la ciclicità del tempo e l’ eternità del Mondo a dispetto della passeggera presenza dell’Uomo. La vita di un Sadhu è basata sul rafforzamento dello spirito tramite rituali quali lo yoga; il controllo del respiro; la recitazione dei mantras (suoni senza significato che aiutano a trovare la concentrazione; ad esempio il classico “Om” cantilenato ) ed astinenza sessuale; i più estremisti fanno voto di silenzio ed evitano di coricarsi per tutta la vita; queste pratiche; unite ad un massiccio consumo di hashish (illegale; ma tollerato dalla legge in quanto rituale religioso per i seguaci di Shiva) servirebbero ad incanalare l’ energia spirituale elevando i santoni a semi-divinità. I santoni si spostano per tutta la loro vita lungo le strade dell’ India e del Nepal; spesso seguendo il corso di un fiume sacro (sono 4 in India) o pellegrinando per le città sacre (14; la più famosa è Varanasi); durante il loro viaggio vivono delle elemosine e dei doni dei devoti. I santi uomini sono solitari; ma si radunano festosi in concomitanza delle celebrazioni religiose come il Janmashtami o il Rama Navami; un discorso a parte merita la Kumbh Mela; che si celebra ogni 6 o 12 anni ed è il raduno religioso più grande del Mondo (60milioni nel 2001); in quest’ occasione le varie sette Sadhu sono in competizione tra loro per chi dovrebbe entrare per primo nelle acque sante.
Generalmente i Sadhu vivono alla stessa maniera; e in base alla divinità che scelgono di seguire si dipingono la fronte con determinate fantasie bianche; ocra o rosse ma esistono le eccezioni come gli oscuri Aghori. Gli Aghori credono nell’ assenza di dualità: bene e male non esistono; contrariamente alle altre sette Sadhu bevono alcool e sangue; mangiano carne (anche umana) e immondizia e utilizzano un cranio umano come ciotola per bere; il culto dei morti è molto radicato in loro.
Questi santoni; che sembrano pervasi da una follia mistica; contribuiscono alla sfaccettata e millenaria aura di fascino che pervade i Sadhu da tempi immemori. Capra Nicholas

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