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Nell’ultimo decennio è scomparso un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati ed effetti dirompenti sull’economia, sull’occupazione e sull’ambiente.

Dati divulgati in occasione della Giornata Nazionale del Grano Italiano e che si riflettono sulla produzione cerealicola della provincia di Alessandria che si attesta sui 67.020 ettari riferiti al 2018 per una produzione media stimata di quintali 4.666.493 (nel 2015 gli ettari erano 72.439, facendo registrare un decremento pari a -7,48%).

Per la trebbiatura 2019, secondo una prima stima Coldiretti si prevede a livello nazionale un raccolto di quasi 7 miliardi di chili di grano, coltivati su oltre 1,8 milioni di ettari, rispetto ai circa 2,3 milioni di un decennio fa. Se i terreni coltivati calano, si registra però in controtendenza un boom della coltivazione di grani antichi che nel giro di due anni hanno visto moltiplicarsi per sei le superfici coltivate, passando dai 1000 ettari del 2017 ai 6000 attuali, trainato dal crescente interesse per la pasta 100% italiana e di qualità.

Un impegno di valorizzazione importante non solo dal punto di vista economico ma anche ambientale poiché questi tipi di grano antico sono particolarmente rustici, ovvero adattate a sopravvivere in condizioni ambientali ostili, poveri di nutrienti e di acqua con un limitato utilizzo di agrofarmaci.

“Un lavoro che rischia di essere vanificato – afferma il presidente provinciale Coldiretti Alessandria Mauro Bianco – dai bassi prezzi riconosciuti ai coltivatori a causa delle speculazioni e delle importazioni dall’estero di prodotti che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese”.

Dopo l’approvazione dell’accordo di libero scambio con il Canada (CETA) nei primi tre mesi del 2019 il Paese Nordamericano Canada è risultato il primo fornitore di grano duro dell’Italia con un aumento di 600 volte delle importazioni di prodotto trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate sul territorio nazionale dove la maturazione avviene grazie al sole.

“Una situazione che – continua il direttore Coldiretti Alessandria Roberto Rampazzo – mette in pericolo la vita di oltre trecentomila aziende agricole che coltivano grano spesso in aree interne senza alternative produttive e per questo a rischio desertificazione. Alla perdita economica e di posti di lavoro si aggiunge il rischio ambientale in un Paese che con l’ultima generazione ha perso oltre un quarto della terra coltivata per colpa dell’abbandono, della cementificazione e degli attacchi degli animali selvatici che distruggono i raccolti agricoli”.

“L’Italia deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività nelle campagne”, ha aggiunto il presidente Bianco nel sottolineare che “con la chiusura di un’azienda agricola, infatti, insieme alla perdita di posti di lavoro e di reddito viene anche a mancare il ruolo insostituibile di presidio del territorio”.

DAL GRANO AL PANE IL PREZZO AUMENTA 15 VOLTE

Dal grano al pane il prezzo aumenta di quindici volte per effetto delle speculazioni e delle importazioni selvagge di prodotto dall’estero con pagnotte e panini spacciati come italiani all’insaputa dei consumatori.

Oggi un chilo di grano tenero è venduto a circa 21 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori variabili attorno ai 3,1 euro al chilo, con un rincaro quindi di quindici volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito.

“Il risultato è che gli agricoltori devono vendere ben 5 chili di grano per potersi pagare un caffè o una bottiglietta di acqua al bar. La situazione del grano italiano stretto tra speculazioni di filiera ed importazioni selvagge – denuncia il presidente Coldiretti Alessandria Mauro Bianco – è la punta dell’iceberg delle difficoltà che deve affrontare l’agricoltura italiana”.

Lo dimostra il fatto che per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi come frutta e verdura solo 22 centesimi arrivano al produttore agricolo ma il valore scende addirittura a 2 centesimi nel caso di quelli trasformati dai salumi fino ai formaggi, mentre il resto viene diviso tra l’industria di trasformazione e la distribuzione commerciale che assorbe la parte preponderante del valore secondo Ismea.

“C’è sicuramente un margine da recuperare per garantire un giusto compenso agli agricoltori, senza pesare sui cittadini”, ha affermato il direttore Coldiretti Alessandria Roberto Rampazzo nel sottolineare l’impegno in atto “per realizzare rapporti di filiera virtuosi con accordi che valorizzino i primati del Made in Italy e garantiscano la sostenibilità della produzione in Italia con impegni pluriennali e il riconoscimento di un prezzo di acquisto “equo”, basato sugli effettivi costi sostenuti”.