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Il fine settimana di metà ottobre propone al cinema anzitutto il ritorno di Robert Langdon, il celebre professore, studioso di simbologia, nato dalla penna di Dan Brown e protagonista dei tre romanzi e dei due film precedenti.
L’ex attore e regista Ron Howard, dopo Il codice Da Vinci (2006) e Angeli e Demoni (2009), ritorna a trasporre sul grande schermo, con la consueta perizia e precisione narrativa, le avventure di un personaggio perennemente in fuga e sempre alla ricerca – come un novello Ulisse – di verità scomode, segreti dell’uomo e della conoscenza, tra la terra e il cielo.
Al di là delle critiche rivolte dal mondo letterario ai romanzi di Dan Brown, spesso e volentieri accusati di pressapochismo nella ricostruzione d’ambiente e, addirittura, di falso storico e di plagio, Inferno è un film che mantiene le promesse: due ore di action e di scariche adrenaliche per lo spettatore, proiettato nella sempiterna lotta contro il tempo dell’eroe e della musa femminile di turno (Felicity Jones-Sienna Brooks), questa volta impegnati a sventare il piano follemente criminale di un genetista (Bertrand Zobrist-Ben Foster) che ha deciso di risolvere drasticamente il problema del sovraffollamento mondiale tramite la diffusione di un virus letale.
Sullo sfondo, una Firenze splendidamente fotografata, enigmatica alcova per la perdita di memoria di Langdon e il mistero legato al primo cantico della Commedia dell’Alighieri.

Neruda, del giovane regista cileno Pablo Larrain (già autore di Jackie, presentato in concorso lo scorso settembre alla Mostra del Cinema di Venezia), è un biopic atipico, teso, sanguigno, poderoso e insieme sospeso entro una sorta di realismo magico, dedicato alla controversa, magmatica, difficilmente raccontabile figura del poeta cileno Pablo Neruda, ritratto nella sua doppia natura di artista e di attivista politico.
La storia narrata da Larrain ha inizio in Cile, nel 1948, quando il governo di Videla, supportato dai voti della sinistra, si indirizza clamorosamente verso una politica filo americana, trasformando Neruda nell’oppositore per eccellenza, condannato a un’esistenza in clandestinità.
Il film, giocato sul realismo e l’atmosfera da genere noir di alcuni momenti, contrapposti all’ oniricità dello stile, si regge sull’ottima prova d’attore del cileno Luis Gnecco, che riassume anche a livello fisico gli elementi in chiaroscuro del poeta, nonché del messicano, anche sceneggiatore e produttore, Gael Garcìa Bernal, nei panni dell’ispettore Oscar Peluchonneau.
Neruda rappresenta il Cile nelle selezioni per la candidatura all’Oscar come miglior film straniero.

Con Qualcosa di nuovo, tratto dallo spettacolo teatrale La scena, Cristina Comencini – alla sua dodicesima prova da regista – si conferma narratrice sensibile e onesta, delicata ma acuta di un mondo femminile complesso, contradditorio, spesso disarmonico, alla continua ricerca di un’identità, di un appagamento privato e sociale il cui orizzonte si sposta un po’ più avanti a ogni esperienza.
Maria (Micaela Ramazzotti) e Lucia (Paola Cortellesi) sono due amiche di lungo corso, estremamente diverse fra loro: la prima, più estroversa, mitiga dispiaceri e frustrazioni del quotidiano con due figli piccoli a carico in molteplici avventure senza futuro. Lucia, invece, rigorosa e razionale, rifiuta ogni coinvolgimento amoroso, nell’apparente soddisfazione che il suo lavoro di cantante jazz le procura.
Sarà, come prevedibile, l’arrivo a sorpresa di una giovane e attraente figura maschile (Luca, interpretato da Eduardo Valdarnini) a ribaltare i ruoli tra le due amiche, scardinando equilibri interiori e di vita già pericolanti. Lo spunto narrativo che struttura sia l’originario testo teatrale che il film non è propriamente originale: il contrasto tra le due amiche fisicamente e caratterialmente dissimili, ribaltato all’improvviso in maniera rocambolesca è un motivo ricorrente di molta letteratura e cinema (ricordate il Thelma e Louise di Ridley Scott, film apripista e di culto per il genere all’inizio degli Anni Novanta?).
Tuttavia, le due attrici si rapportano bene fra loro, i loro personaggi risultano credibili e in sinergia; la Comencini, poi, non calca mai la mano, evitando lo scadimento della pellicola in una pochade imbastita di situazioni grottesche o di effetti comici scontati.
Qualcosa di nuovo potrà risultare anche una commedia “leggera”: ma costringe uomini e donne insieme a riflettere almeno per novantatre minuti su loro stessi e sulle tele di relazioni che costruiscono. Non è poco.

Barbara Rossi

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