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Imparare a convivere con la propria disabilità no, non è semplice. Per un giorno abbiamo provato sulla nostra pelle cosa vuol dire convivere con ostacoli e difficoltà in una città non a portata di chi è meno fortunato

In carrozzina tra scalini e marciapiedi sconnessi. Guidati da un cane e da un non vedente. La gente sempre disponibile

Imparare a convivere con la propria disabilità, no, non è semplice. La teoria, bene o male, tutti la conosciamo: è difficile, ci vuole allenamento, s’impara passo dopo passo, sforzo dopo sforzo e mostrando una forza che, spesso, prima non si possedeva. Sì, questa è la teoria. Questi sono quei pensieri che aleggiano nella mente della maggior parte delle persone quando si ritrova ad affrontare un argomento delicato come la disabilità. Sono pensieri concepiti secondo schemi generali, per sentito dire, o attraverso testimonianze di amici o parenti. Pensieri veri, sì, ma per poter capire davvero le sensazioni che si provano quando bisogna imparare a convivere con le problematiche legate alla disabilità, è necessario viverle in prima persona.
Questa è stata la linea guida madre di questo articolo. Il bisogno di comprendere ed il desiderio di poter essere d’aiuto in un’opera volta alla sensibilizzazione, ci ha spinto a metterci in gioco. Se si desidera conoscere, se si vuole capire, è necessario provare, affrontare e farsi aiutare. Sì, farsi aiutare. Perché simulare di avere una disabilità, per comprendere le difficoltà ad essa legate, non è facile. Immergersi in città, in solitudine, senza sicurezze e certezze, no, non è saggio. È opportuno, pertanto, affiancarsi a persone che diano sostegno, facciano da guida e da supporto. Persone come amici di vecchia data, che ti spingano la carrozzina, e persone come Angelo: la mia guida, il mio maestro e, paradossalmente, i miei occhi.
Farsi trasportare in centro, in un sabato pomeriggio segnato da freddo, orde di persone ammassate per le vie e strade dissestate, è stata un’esperienza illuminante, che mi ha permesso di entrare in contatto con una realtà diversa. Una realtà ostile, fredda, scoraggiante. Una realtà triste da vivere e difficile da accettare e che, per mia fortuna, non mi appartiene. Perché io, dopo qualche ora, sono tornata a camminare, a vedere e a non dover dipendere da terzi per fare un giro in città.
Io, sì, ma per tutte quelle persone che provano quotidianamente le sensazioni che ho provato io per qualche ora soltanto? No, per loro la situazione è diversa. Loro si ritrovano a dover combattere ogni giorno contro le barriere architettoniche, sociali e culturali che la nostra società abbatte difficilmente. Giorno dopo giorno, partecipano ad una corsa ad ostacoli alla quale non hanno deciso di partecipare, ma che si ritrovano a sostenere per volere del fato. Purtroppo, neanche un giorno di simulazione è sufficiente per entrare nel vivo del problema. Non basta provare per qualche ora per capire, ma aiuta. Aiuta a valutare i disagi, le difficoltà e le differenti esigenze che subentrano quando si rivoluziona il proprio stile di vita, o quando, sin dalla nascita, ci si ritrova a dover convivere con la propria disabilità. Simulare mi ha aiutata, perché, avendo provato in prima persona le difficoltà, posso dire con certezza che, no, non è semplice. Mi auguro, però, che questa esperienza possa far scattare qualcosa non solo a me, ma anche a chi, spesso, sottovaluta o non comprende ciò che comporta possedere una disabilità in città. Perché siamo troppo presi dai nostri problemi, da noi stessi e dalle nostre vicissitudini, per aprire la finestra del nostro piccolo mondo e guardare altrove: verso realtà diverse, verso altro, verso nuovi orizzonti.

Giada Guzzon

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In centro con la carrozzina…

Sabato 08 Febbraio 2014,
La giornata inizia normalmente: mi alzo, faccio colazione e mi preparo per uscire. C’è solo una differenza: sto andando a ritirare una carrozzina, una carrozzina per me (gentilmente concessa dal negozio: “Bottega d’Ortopedia” di Alessandria).
Mi servirà per una simulazione: voglio capire cosa significa fare un giro in centro sulla sedia a rotelle. Voglio provare le difficoltà in prima persona. Voglio studiare gli sguardi della gente e voglio sapere cosa si prova.

DSCF5911Ore 16:30,
Sono in compagnia di due amiche. Dobbiamo aprire e montare la carrozzina. Detto così sembra semplice, ma, non avendo mai provato, anche un gesto che per molti è banale, a noi sta sembrando complicato. Con un po’ d’ingegno riusciamo nel nostro intento. Per non rischiare di destare sospetti, mi sono messa un tutore nel piede. Mi avvicino a quella che sarà la mia compagna d’avventura e mi siedo. Provo a familiarizzare. Primo problema: come fare per girare? Capisco che una ruota si deve muovere e l’altra restare ferma. È un po’ come parcheggiare, perfetto… Saperlo fare decentemente mi aiuterebbe!

Ore 17:00,
Ci avviamo verso il centro passando per le vie alessandrine e mi rendo conto della difficoltà: buchi, strade rotte, marciapiedi malridotti ed ostacoli di ogni genere impediscono alla carrozzina di muoversi liberamente. Mi fermo a riflettere e penso che le persone che si ritrovano sulla sedia a rotelle, o per una gamba fratturata o per un intervento, forse, hanno maggiori difficoltà. A causa degli scostamenti e della pavimentazione irregolare, la carrozzina continua a bloccarsi nelle buche, causando bruschi movimenti che fanno sobbalzare le gambe. Dobbiamo attraversare la strada, altro problema: le macchine parcheggiate ai lati delle strisce rendono scarsa la visibilità. Per poter vedere bisogna sporgersi, ma il rischio che una macchina passi ad alta velocità non è nullo.

Ore 17:30,
Siamo in Corso Roma. È interessante notare i differenti sguardi che mi rivolgono le persone. Mi colpisce il tono interrogativo di chi fissa il mio piede tentando di capire quale sia il “problema” e chi, invece, mi guarda semplicemente in volto con aria caritatevole. Ma la cosa che più mi affascina ed entusiasma è la gentilezza che le persone mostrano nei miei confronti: mi sorridono, sono disponibili, si preoccupano e vogliono aiutare. Tutto mi sembra strano, diverso.
Un fatto coglie la nostra attenzione: una Chiesa, priva di rampa per disabili, rende molto complicato l’ingresso alle persone sulla sedia a rotelle.
Ci fermiamo davanti ad un bar, fuori fa freddo e vogliamo bere qualcosa di caldo. L’entrata non dispone della rampa per disabili e l’ingresso risulta difficile a causa dello scalino. Fortunatamente, un signore ci offre un aiuto e, con un po’ di fatica, riusciamo ad entrare.
Muoversi all’interno del bar non è semplice: urtiamo sedie e tavolini, ma la cameriera è cordiale e ci raggiunge per prendere nota delle nostre ordinazioni.

DSCF5937Ore 18:00,
Usciamo dal bar e ci dirigiamo verso un negozio. Al suo interno capita di sbattere contro gli oggetti in esposizione; purtroppo, la mobilità non è molta, ma la commessa è gentile e ci sorride. Spesso le persone ci mettono un po’ a capire di doversi spostare perché la carrozzina non riesce a passare. Tra varie peripezie, prosegue il nostro giro per le vie del centro. Ci fermiamo davanti ad un negozio, ma non vogliamo entrare. La commessa, nonostante indossi solo una magliettina di cotone, esce per dirci gentilmente che possiamo passare dalla rampa, dato che, a causa dello scalino, potremmo fare fatica ad entrare. La ringraziamo. Decidiamo di andare in libreria e ci accorgiamo di quanto sia difficile muoversi tra gli scaffali. Il passaggio, anche se permette alla carrozzina di transitare, è abbastanza stretto e dobbiamo fare molta attenzione per non far cadere i libri.

Ore 18:30,
Il nostro giro sta per terminare, iniziamo ad avviarci verso la macchina. Si è fatto buio e le varie buche o i difetti della pavimentazione sono più difficili da notare. Ci avviciniamo alla macchina parlando di questa esperienza. Io faccio un riassunto, provando a dare un senso ai mille pensieri che pervadono la mia mente. Voglio dare un nome ai miei sentimenti ed alle mie sensazioni, ma, l’unica cosa che riesco a dire è: “È stato strano.” “Strano”, perché è stata un’esperienza nuova, diversa, fuori dal mio ordinario. “Strano”, perché non mi sono sentita come tutti gli altri giorni in cui uscivo per una passeggiata con le amiche.
“Strano”, perché ho provato sensazioni che difficilmente possono ottenere giustizia con le parole. E “Strano”, perché io ero diversa, gli altri erano diversi e la città era diversa.
Giada Guzzon

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Passeggiata al buio

Domenica 09 Febbraio 2014,
DSCF6010L’appuntamento per questa simulazione è alle 16:00. L’idea di ritrovarmi in città, priva di un senso fondamentale come la vista, mi spaventa. A casa provo ad allenarmi, ma faccio molta fatica: mi gira la testa ed ogni oggetto diventa per me un ostacolo.

Ore 16:00,
Prendo l’ascensore ed entro in casa di colui che sarà il mio maestro: Angelo. Ad accogliermi, la moglie, i figli, la cagnolina Bijou ed il fedele compagno di Angelo: Iaky. Mi avvicino al mio maestro che, dopo avermi salutata, inizia a darmi qualche suggerimento.
Angelo mi cede il suo bastone, sarà Iaky a guidarlo.
Mi stupisce il rapporto che hanno instaurato: Iaky segue Angelo in ogni suo passo, lo ascolta, lo rispetta, gli è fedele e gli vuole bene, si capisce dal suo sguardo. Si tratta di un affetto reciproco, firma di una spiccata sintonia.
È il mio momento, mi devo bendare e ascoltare le indicazioni della mia guida. “Ascoltare” è di fondamentale importanza. Devo affinare il senso, cogliere i cambiamenti del vento, ascoltare i rumori del bastone e della città. Angelo mi dice di stare tranquilla, perché tanto con noi c’è Iaky.
Sono bendata ed inizio a camminare. La testa mi gira, mi sento disorientata ed ho bisogno di qualcuno che mi cammini affianco. Angelo mi porge il suo braccio e, mentre camminiamo, mi rendo conto delle difficoltà: pali della luce, tubi del gas, cassette dell’Enel, fermate dell’autobus, cancelli, porticati, marciapiedi, macchine, tutto. Tutto ciò che per me era normale e semplice diventa diverso e tremendamente complicato. Il bastone si blocca nei buchi e, a causa degli scostamenti della pavimentazione, la rotellina non riesce a scorrere liberamente.

DSCF6009Ore 17:00,
Stiamo passeggiando da circa mezz’ora. Angelo ha detto a Iaky di portarlo alla fermata dell’autobus. Dobbiamo attraversare e, nel farlo, capisco in prima persona le varie difficoltà che intercorrono: le macchine parcheggiate sono d’intralcio, i marciapiedi irregolari e le discese per disabili, presentando difetti nella pavimentazione, rendono complicato l’attraversamento. Come se non bastasse, le macchine passano ad alta velocità, rendendo il tutto ancora più difficile. Al comando “Zebre”, riferito all’attraversamento, Iaky si assicura che Angelo non corra pericoli, permettendogli di camminare al sicuro. I problemi legati alla mobilità sono molteplici, me ne accorgo in ogni mio singolo movimento. Il bastone urta i pali della luce ed io ho bisogno di servirmi del tatto per capire quale sia la natura dell’ostacolo.

Ore 17:30,
Ci siamo fermati, Iaky non prosegue, significa che siamo arrivati a destinazione. Angelo m’invita ad ascoltare i rumori del bastone e capisco che siamo giunti alla fermata dell’autobus. Mi servo del tatto per accertarmi della meta. Così disorientata, spaesata, totalmente estranea a questo modo di percepire le cose, mi trovo ora ad affrontare una situazione che, per molti, corrisponde all’ordinario. Nel tragitto verso casa mi rendo conto di un’altra difficoltà: il mio braccio destro urta contro una cassetta postale posizionata male. Angelo mi spiega che è capitato anche a lui diverse volte e mi dice che questa è solo una delle tante problematiche che ci sono in città.

Ore 18:00,
Stiamo tornando a casa. Io parlo con Angelo di quanto sia stato interessante ed illuminante passeggiare con lui. Mi sono resa conto di altre realtà, altre difficoltà ed altre problematiche. Ho prestato un’altra attenzione alla mia città e, benché difficile da spiegare, sono riuscita a “vedere” cose che prima non coglievo. Ho visto gli oggetti in modo diverso, li ho conosciuti anche con il tatto. Ho visto quanto sia difficoltoso e problematico muoversi in città. Ho visto la città con occhi diversi… anche se chiusi.

Giada Guzzon

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Barriere architettoniche

Foto-1001Il diritto alla libertà di movimento, nonostante le numerose normative che dovrebbero regolamentare l’urbanistica e la costruzione dei nuovi edifici, in Italia rimane ancora un miraggio.
Le nostre città, per chi vive in una condizione di disabilità motoria, appaiono delle vere giungle urbane, dove muoversi senza un’assistente risulta praticamente impossibile. Per una persona ‘normale’, abituata a muoversi in autonomia, è addirittura difficile poter comprendere il disagio di chi, al contrario, è costretto a lottare quotidianamente contro gli ostacoli imposti dalle barriere architettoniche.
Per capire meglio in cosa consista questo disagio, abbiamo incontrato Paolo Berta, consigliere comunale di maggioranza, ‘recidivo’ nel portare avanti la propria battaglia per ottenere città, servizi ed infrastrutture accessibili a tutti, disabili compresi. “Un grosso problema con cui dobbiamo avere a che fare è la cultura della comodità intrinseca in tutti i normodotati, specie negli automobilisti’, – ci spiega Berta – Tutti i giorni capita, infatti, di trovare mezzi parcheggiati in posti che bloccano il passaggio ai disabili, come marciapiedi o in prossimità degli scivoli. È però molto difficile far entrare nella testa di tutti queste cose, io sono in Consiglio Foto-3001Comunale dal 1990, speravo che la situazione si potesse risolvere, ma a 24 anni di distanza occorre lavorare ancora molto e continuare ad informare la cittadinanza sulle conseguenze che possono avere piccoli gesti come questi. In questi anni – prosegue il consigliere – qualcosa è stato comunque fatto, a partire dal 1994 quando, dopo l’alluvione, vennero stanziati per Alessandria qualcosa come 900 milioni di lire per la ricostruzione. Molte zone sono state rifatte male e senza tenere in conto il bisogno di eliminare le barriere architettoniche. Questo problema è stato successivamente affrontato dalla giunta Scagni, quando nel 2003 venne realizzato, con l’aiuto di un ingegnere di uno studio professionale, un progetto urbanistico per i disabili comprensivo di otto lotti. Solo due di questi lotti, però, vennero realizzati, il resto del progetto venne poi accantonato dalla giunta Fabbio. Appena ci saranno nuovamente le risorse – spera Berta – vorremmo rifinanziare i rimanenti 5 lotti e coinvolgere tutte le forze politiche, facendo sottoscrivere in campagna elettorale a tutti i candidati la volontà di voler portare a termine l’opera. Per dare il buon esempio, occorre mettere a norma innanzitutto i locali del Comune, a cominciare dalla rampa d’accesso alla sala del consiglio. Da quando sono a Palazzo Rosso, ho dovuto aspettare 7 anni prima di poter utilizzare un bagno, prima dovevo utilizzare un montascale che ci impiegava 16 minuti per arrivare al piano terra, e spesso mi capitava di non arrivare in tempo suscitando così l’ilarità di alcuni consiglieri. Servono inoltre – conclude il consigliere del Pd – interventi per garantire l’accesso a ristoranti e farmacie; per strada, infatti, si incontrano ancora troppi disabili costretti a comprare le medicine fuori dal negozio”.
Se da un lato è dovere delle istituzioni attuare norme che garantiscano il diritto alla mobilità, dall’altra un contributo determinante deve arrivare dai cittadini, i quali, attraverso gesti di rispetto quotidiani, possono fare molto affinché questo diritto venga rispettato.

Marcello Rossi

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