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Traffico regolamentato da liste d’attesa e colori di codici come un’autostrada nelle ore di punta. La massima affluenza si registra nella parte centrale della giornata.

Professionalità ed efficienza a dispetto dei luoghi comuni e della retorica. Tutto è perfettibile e migliorabile nell’organizzazione.

Tutti ci siamo finiti almeno un paio di volte, per assistere qualcuno o per noi stessi: è il Pronto Soccorso, unità operativa del Servizio Sanitario Nazionale dedicata alle emergenze.

La procedura è standard: all’arrivo vi è un’accettazione, un infermiere specializzato valuta le condizioni del paziente inquadrandolo in una delle quattro categorie d’urgenza: codice bianco, codice giallo, codice verde e codice rosso, in ordine crescente di gravità. Il codice bianco rappresenta la “non urgenza” e viene solitamente risolto in ambulatorio. I codici giallo e verde rappresentan o un’urgenza differibile: lacerazioni, contusioni o stati alterati di coscienza se non accompagnati da emorragie o compromissione delle vie respiratorie.Il codice rosso corrisponde a emergenza con accesso immediato alla sala; esistono inoltre altre due categorie meno utilizzate: il codice arancione, a indicare un paziente contaminato, ed il codice nero, quando le possibilità di sopravvivere sono scarse, il decesso è prossimo.

pronto-soccorsoLa nostra città dispone di un Pronto Soccorso sicuramente sopra la media nazionale, mi permetto di giudicare efficiente e professionale il personale che, seppur costretto a lavorare sotto grande stress, cerca di alleviare le sofferenze ai malconci utenti del servizio. I sopraccitati utenti vengono visitati non in base all’orario di arrivo, ma in rapporto al grado di priorità del colore nel quale vengono inquadrati: questo è un po’ il nodo gordiano che stritola la struttura, affollandone la sala d’aspetto, spazientendone i pazienti in attesa e rendendo più difficile il compito del personale.
Per capire al meglio che aria si respira al Pronto Soccorso ci sono andato in incognito, come un non-paziente, con lo scopo di documentare l’operato reale del personale sanitario e di verificare la plausibilità delle lamentele dei pazienti in attesa.

In primis, il personale: reattivo, preciso e disponibile; un meccanismo ben oliato che macina punti e medicazioni con l’efficienza di uno staff di Formula 1 durante i pit stop; curioso campanilismo in pieno stile italico con i medici accusati, in maniera ovviamente scherzosa, di essere altezzosi e convinti di essere i protagonisti di telefilm ambulatoriali come Dottor House o E.R.- medici in prima linea.
Il compito dello staff è di fornire una prima assistenza al paziente: spesso ciò significa non limitarsi a garze e sedativi, ma assicurare un supporto psicologico al paziente spaesato e dolorante, parole di conforto e piccole attenzioni che diventano importanti in una situazione così delicata.
Dall’altra parte della barricata il paziente: qua emerge concretamente la questione precedentemente citata della lista d’attesa e mi sento di distinguere i “codici bianchi” da tutti gli altri.

I pazienti e gli accompagnatori dei codici verde e giallo nella maggior parte dei casi sono più silenziosi, si concentrano sul loro problema e per costoro l’attesa è tendenzialmente “breve”.

ospedale-esternoI codici bianchi: tanti, decisamente poco “pazienti” e talvolta maleducati. Rappresentano la maggioranza dei casi e sono costretti loro malgrado a sfiancanti attese che vanno da un minimo di un’ora ad un massimo di sei: mediamente un codice bianco attende le cure mediche per tre-quattro ore.

La sensazione è che il codice meno grave, il bianco, rimanga un po’ intrappolato nel meccanismo ospedaliero, rappresenta la fetta più grande e più scontenta del servizio, una fonte di eterne lamentele.

Il nodo gordiano originale, quello del mito, venne risolto con un colpo di spada di Alessandro Magno, la soluzione alessandrina che al giorno d’oggi indica un problema risolto con una decisione netta e decisa: e se distaccassimo il servizio destinato ai codici bianchi da tutti gli altri?

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