La crudeltà della Guerra e il vuoto della politica. Le armi che (non) portano la Pace.

Quarantaquattro giorni di guerra. Il ritirarsi della marea russa porta alla luce le crudeli verità della guerra. Borodyanka, Bucha, Irpin; città, paesi e villaggi il cui ricordo sarà sempre legato ai crimini commessi ai danni degli inermi civili. Il volto della guerra mostra la sua terribile faccia. «Non resteremo indifferenti. Sono a favore di una nuova serie di sanzioni europee contro la Russia per porre fine a questi abusi», dichiara il presidente Macron, definendosi disgustato da quanti «hanno minimizzato il problema», riferendosi ai suoi avversari politici in corsa all’Eliseo. «Questo – conclude il presidente – equivale a uccidere queste persone innocenti una seconda volta».

Stragi fra civili, fosse comuni, cadaveri fra le strade nelle città ucraina, una tragedia umanitaria è il lascito di questo conflitto all’Ucraina ed al mondo intero. «Bucha è la Guernica ucraina» ha detto Zelensky durante il suo discorso al parlamento spagnolo. Nel frattempo, Kiev annuncia l’apertura di 10 nuovi corridoi umanitari, aperti nelle regioni del Donetsk, di Zaporozhye e in Luhansk, mentre   Hulusi Akar, ministro della Difesa turco, sollecita il suo omologo ucraino Oleksii Reznikov, ad accelerare l’evacuazione di Mariupol, città martoriata dai bombardamenti e prossima ad un nuovo e potente contrattacco dell’esercito russo.

Il silenzio della politica, il rumore della guerra

Il cuore dell’Europa piange alla vista dei suoi figli caduti. Immagini di tali portata dovrebbero fare riflettere sul significato della guerra e sulle atrocità che questa porta con sé. Eppure, fra le corti europee, non sembra ancora essere la pace un traguardo realmente perseguito, ma la corsa alle armi. Ancora una volta l’Europa mostra la sua debolezza. Incapace di mostrarsi unita e forte, la politica europea non riesce a portare Mosca al tavolo delle trattative. Debolissimi i tentativi di pace da ambo le parti. Ma se Lavrov, segretario di stato russo, denuncia come «inaccettabile» la proposta di accordo di Kiev, nessun’altro tentativo è stato seriamente portato avanti. Il silenzio della politica è assordante, se paragonato al caotico rumore delle bombe e dei missili. A trattare infatti con il Cremlino, non può essere di certo la sola Kiev. Le regole della politica internazionale impongono che dietro la presenza ucraina, ci sia la forza di una superpotenza in grado di garantire le linee della nuova politica e del nuovo ordine che il trattato andrebbe a sancire. Tuttavia, se l’America non sembra essere interessata allo stabilizzarsi di una situazione di pace, – discutibili le dichiarazioni di Biden a tal proposito – al contrario sembra spingere verso il cronicizzarsi della guerra in Ucraina, con tutto il rischio che questo porterebbe. Nonostante alcuni deboli tentativi di riappacificamento, la Realpolitik americana vedrebbe trasformare Kiev, in una nuova Aleppo, con il muto (e mutuo) consenso dei suoi alleati (vassalli) europei. L’Europa, infatti, rimane schiacciata fra la sudditanza ai dettami oltreoceanici, e le sue spaccature interne che ricalcano gli interessi nazionali e nazionalistici. Dov’è l’Europa dei popoli quando uno di questi viene massacrato dalla guerra? l’Europa dei popoli smaschera il suo volto, in un Europa delle armi e degli interessi nazionali. D’altronde, molti sono i governi europei che hanno scelto di cambiare la propria politica rispetto alle decisioni passate.

Alla guerra il denaro, al popolo miseria.

Un bel regalo all’industria delle armi. C’è da immaginare lo sfregamento di mani che i magnati delle industrie belliche, prima fra tutti la Leonardo italiana, stiano ora facendo dopo l’approvazione alla Camera dell’aumento della spesa della Difesa del 2%, soprattutto quando, di tale aumento, per l’Italia, beneficeranno le industrie di armi leggere, produzione nella quale la citata Leonardo è leader. L’aumento delle armi e Difesa, ovviamente sollecitato dagli eventi in Ucraina, è legato ad accordi presi in passato nell’Alleanza Atlantica nel 2014, anno in cui scoppiava il conflitto armato fra russi e ucraini. A lungo ignorato o temporeggiato, ora l’impegno, secondo la logica della politica europea, alla quale l’Italia, nonostante, si ricorda, sia la sede del Vaticano, la patria di Gino Strada e di famosi e vasti movimenti pacifisti del mondo, non può più esimersi. Dopo due anni di pandemia, reduci da una gravosa crisi economica, con uno stato sociale a pezzi, tassi di disoccupazioni allarmanti e un sistema sanitario agonizzante, ovviamente sono le armi ad avere la priorità. Nel momento in cui l’obiettivo è la pace, il riarmo, per una coalizione, come quella della Nato che è già militarmente superiore al nemico russo, è vista secondo la logica europea, – ma si potrebbe forse dire americana – la preoccupazione maggiore. Una corsa alle armi che, ad onor del vero, non è mai rallentata, neanche in piena pandemia, raggiungendo l’apice proprio nel 2020 quando il mondo, pur alle prese con una delle fasi più acute della lotta al virus, ancora privo di vaccini, ha deciso di spendere 1981 miliardi di dollari in armamenti, lasciando la popolazione, soprattutto nelle aree più povere, del mondo a morire.

Contrari all’aumento della spesa militare è Europa Verde, che ha ricordato come i paesi dell’UE, già oggi, spendono insieme per armamenti, secondo i dati forniti dal SIPRI di Stoccolma, 233 miliardi di dollari all’anno, superiori al triplo delle spese di Mosca. Il Documento di Economia e Finanza italiano di quest’anno è definito, da Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde «una bestemmia» denunciando la «deriva bellicista», alimentata da una buona parte dei media del nostro paese.  Aggiunge Bonelli: «Il DEF di quest’anno, al contrario, dovrebbe essere orientato alla cura della nostra società dalle cicatrici che ci hanno afflitto negli ultimi anni e che ci stanno affliggendo proprio ora. Deve affrontare la questione della crisi climatica, dell’assenza degli investimenti nella ricerca, nell’università e nell’istruzione, dell’assistenza ai più deboli».

«Volete la pace o il condizionatore acceso» schernisce Draghi durante una conferenza stampa, banalizzando il problema della spesa pubblica ai danni del rincaro energetico. Al di là delle possibili riflessioni sul tema, sulla destinazione della spesa militare, sulla mancanza di un piano di spesa finalizzato ad una forza comune europea, rimane la buffa considerazione del professore, che siano le armi a portare la pace, mentre i condizionatori, invece, la guerra.

 

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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