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Quali storie ci riserva il cinema a Capodanno? Di sicuro ci attende – come tradizione delle Feste – una pellicola italiana “a tema”: nello specifico, la rielaborazione della figura della Befana, interpretata dalla brava e coinvolgente Paola Cortellesi in La Befana vien di notte di Michele Soavi (Dellamorte Dellamore, Arrivederci amore, ciao, Il sangue dei vinti). Il film, sceneggiato da Nicola Guaglianone, si propone come una sorta di romanzo di formazione, dal messaggio complessivamente un po’ debole, riservata ad un target di pre-adolescenti/adolescenti e alle loro famiglie. Paola, alias la Befana, alla luce del sole è una stimata insegnante della scuola primaria, molto amata dai suoi piccoli studenti; la notte, invece, cerca di assolvere al meglio, a dispetto degli anni (molto ben portati) la sua missione di dispensatrice di doni, protagonista della ricorrenza dell’Epifania. Purtroppo, anche la Befana, piacevole come Paola oppure respingente come da iconografia, ha i suoi nemici da contrastare: il primo è Mr. Johnny (Stefano Fresi), un ben pasciuto produttore di giocattoli con l’ambizione neppure tanto segreta di sostituirsi a lei; il secondo è Babbo Natale in persona, ambizioso rivale dal coté apertamente maschilista. Quando, poi, la Befana Paola scompare nel nulla, un gruppetto di sei investigatori in erba scatena la detection, per riportare l’amata maestra a casa ed assicurare al mondo la festa dell’Epifania. Soavi strizza intelligentemente l’occhio a tutto un cinema per teenager – soprattutto di provenienza americana, da Stand by Me di Rob Reiner a Ritorno al futuro di Zemeckis – trasportando il plot entro un’ambientazione, geografica (l’Alto Adige) e sociale prettamente italiana. Puntuale il tentativo di analisi del rapporto col reale della generazione dei post Millenials, tra multiculturalità, integrazione, bullismo e rivoluzione digitale. Un pizzico di facile psicologismo e convenzionalità di situazioni è, purtroppo, abbastanza visibile, un limite ormai acclarato per le commedie made in Italy di questo tipo, che preclude ulteriori, interessanti sviluppi.

“Dopo questo film andrò in pensione perché faccio questo lavoro da quando avevo 21 anni. Penso che sia abbastanza. E allora perché non chiudere con qualcosa che è molto ottimista e positivo?”. Giunto alla considerevole età di 82 anni, Robert Redford – il sex-symbol, uno dei divi per eccellenza del cinema americano contemporaneo, vincitore di due premi Oscar, uno come regista (nel 1980, per Gente comune) e l’altro alla carriera, nel 2002, fondatore del Sundance Festival – annuncia con The old man & the gun, il suo presunto ultimo film, l’intenzione di ritirarsi dalle scene per dedicarsi in santa pace alla pittura e “non dover rendere conto di niente a nessuno”. Lo fa per mezzo di un film generoso, picaresco, intrigante e sorridente, in cui rievoca con efficacia narrativa e la consueta seduttività personale la vera storia di Forrest Tucker, rapinatore di banche seriale, per intima vocazione, incarcerato 17 volte ed altrettante evaso: un vero e proprio maestro della rapina e della fuga, che è riuscito a farla in barba anche a una prigione come San Quintino e a 77 anni era ancora in attività. Un ladro gentiluomo, insomma, uno degli ultimi rimasti, raccontato dal regista David Lowery (Senza santi in Paradiso, Il drago invisibile) con la ferma e riuscita intenzione di esaltare il ruolo d’addio dell’inossidabile Redford ammiccando, nel contempo, a quelli su cui il divo ha costruito la sua carriera, primo fra tutti il fuorilegge ‘The Sundance Kid’ in Butch Cassidy di George Roy Hill (1969). Un film coerente, dal ritmo veloce e sincopato, presentato lo scorso settembre al Festival del Cinema di Toronto e, a ottobre, alla Festa del Cinema di Roma, con ottimi esiti, anche grazie alle interpretazioni di Casey Affleck nei panni del detective John Hunt e di Sissy Spacek in quelli di Jewel, attraverso cui viene espresso il versante romance della vicenda. Lunga vita a Robert Redford, allora, anche da affascinante pensionato. E speriamo ci ripensi.

Buon 2019 da chi scrive.

Barbara Rossi