L’odio ai tempi dei social

Sono sicuramente tante le volte in cui “benediciamo” l’esistenza di strumenti in grado di garantire una iperconnessione con il mondo circostante: i vantaggi e gli aspetti positivi del web e dei social sono innegabili, tra cui la possibilità di avere a disposizione un mezzo di comunicazione istantanea e in grado di diffondere notizie in tempo reale.

Non è possibile però tralasciare l’altra faccia della medaglia di questo mondo virtuale: riduzione del contatto personale, facile diffusione di informazioni false e/o poco affidabili ma soprattutto il fenomeno sempre più dilagante (e da non sottovalutare) dell’hating online.

L’hate speech

L’odio è un sentimento certamente non nuovo e che tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita. Ma cosa succede quando questo odio ha la possibilità di manifestarsi in uno spazio apparentemente senza controllo e regole? Il così detto “hate speech” sta diventando la cifra che caratterizza la maggior parte delle interazioni online proprio perché il web offre numerose occasioni per tutti coloro che sentono la “necessità” di diffondere odio (basti pensare alla facilità con cui ci si può nascondere dietro falsi profili).

Recentemente proprio il nostro giornale è stato “vittima” di un episodio di hating online: l’intervista al dott. Mario Salio, direttore dell’unità complessa di malattie dell’apparato respiratorio dell’ospedale di Alessandria, circa la funzione e il funzionamento stesso dei vaccini è stata presa d’assalto: ciò che emerge e che è facile riscontrare da numerosi commenti di questo caso specifico e che comunque, però, va a connotare l’hate speech in generale è l’esigenza della critica, del contrasto e dello scontro fine a se stessa. Vi è soltanto infatti una (il più delle volte) sterile ed inconsistente necessità di dar sfogo con orgoglio alle proprie frustrazioni con prese di posizione colme di pregiudizi e preconcetti e critiche per nulla costruttive, spesso semplicemente volte a demolire con aggressività ed odio il proprio “avversario ideologico” in una battaglia, in realtà, senza vinti né vincitori. Si tratta di persone che non avvertono il peso delle proprie azioni ed incapaci di relazionarsi con gli altri e di avere confronti che siano costruttivi seppur nella diversità e che, nascondendosi dietro uno schermo, riversano con vigliaccheria la propria rabbia su chiunque capiti, dallo sconosciuto qualunque al personaggio pubblico più esposto.

Le conseguenze, i dati e cosa si può fare per contrastarlo

Potersi confrontare e condividere il proprio pensiero senza filtri, incontrollatamente e con un pluralità indistinta costituisce quindi una esasperazione della democrazia stessa con dei risvolti tutt’altro che positivi e rispetto ai quali si è iniziato ad intervenire per quanto possibile: solo nel 2019 sono stati 2.426 i casi trattati e 738 le persone indagate dalla Polizia postale. Oltre 2 mila gli spazi virtuali monitorati per condotte discriminatorie di genere, antisemite e xenofobe. In più, oltre ad affrontare il problema a livello istituzionale denunciando alla Polizia, è possibile fare una segnalazione attraverso il sito Odiare Ti Costa, una associazione nata con l’obiettivo di contrastare l’hate speech. Interessante anche il recente progetto della start – up milanese Chi Odia Paga che, tramite una piattaforma, punta a tassare chi odia per finanziare progetti di sensibilizzazione ed educazione finalizzati a un uso costruttivo della comunicazione sulla Rete.

Il web, sostanzialmente, maschera, nasconde e protegge soltanto apparentemente: è deplorevole, però che, specialmente per l’apporto e il peso che i social hanno tra i giovani, non vi sia una vera e propria regolamentazione per agire contro chi troppo spesso opera creando grandi danni (psicologici e non) da remoto dimenticando che dall’altra parte dello schermo c’è qualcuno e che le parole hanno SEMPRE un peso.

Ludovica Italiano

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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