Lo sport e il tifo: storia di un grande amore.

La mia “riflessione” di oggi si apre con una immagine che mi ha profondamente toccato: senza approfondire ed addentrarci in questioni troppo specifiche, ieri c’è stato l’addio di alcuni giocatori della Juventus alla propria squadra e tifoseria. Al termine della partita con la Lazio e dopo essere riuscito a lungo a trattenere le lacrime, infatti, è scoppiato in un pianto sincero, sentito e libero il giovane attaccante Paulo Dybala, accompagnato da tutta la squadra e da un intero stadio bianconero.

La scena è stata, a mio avviso, meravigliosamente toccante quanto straziante: vedere un ragazzo, un professionista disperarsi con una tale intensità per la consapevolezza di dover togliere una maglia e riporla nel cassetto; un volto rigato da lacrime, lacrime di chi, prima di essere un calciatore che sta semplicemente svolgendo il suo lavoro, è da sempre stato un tifoso. “Pensavo di restare per anni”, la frase che ha timidamente inserito nel suo post d’addio. Inconsolabile.

Ma cos’è effettivamente il tifo e cosa ci spinge a tifare?

Prima di tutto, facendo alcune ricerche, è stato interessante scoprire che per “tifo” si intende qualcosa di ben diverso dal semplice “parteggiare per”.

Infatti, l’etimologia greca della parola ci rimanda ad una “febbre”, un sostegno entusiastico per un personaggio o una squadra. E questo perché in realtà il tifo non è soltanto un fenomeno sportivo ma anche extrasportivo (si veda per esempio l’adorazione per un particolare personaggio pubblico).

Ma nel tifo sportivo c’è qualcosa in più, nel bene e nel male, così come in tutte le emozioni che, nella loro varietà, sono una altalena tra il positivo e il negativo.

Il tifo sportivo è la situazione in cui l’umore del soggetto dipende dal risultato agonistico. Il semplice spettatore, al contrario, non è in alcun modo condizionato dall’esito della competizione e riesce a gustarsi gli eventi con il “giusto” distacco emotivo.

Quante volte, razionalmente parlando, assistendo alle reazioni di amici e amiche tifosi, magari non comprendendole fino in fondo, ci si è chiesti: è possibile “spersonalizzarsi” in una tale maniera? Lasciarsi condizionare a tal punto da eventi su cui non possiamo avere il controllo?

E se da una parte c’è da ammettere che sono sicuramente tra quelle persone che spesso si è posta questa domanda, c’è anche da dire che c’è qualcosa di veramente commovente nel senso di appartenenza che lega i tifosi, tra loro, con la propria squadra del cuore e/o il proprio beniamino del cuore e viceversa. Credo che la relazione che lega tifosi e felicità sia meno scontata di quanto possa sembrare, fatta di continue emozioni forti e contrastanti. C’è infatti qualcosa di toccante nella “drammaticità” con cui i tifosi vivono tanto i momenti positivi quanto quelli negativi, in questo vivere, spesso, di “luce riflessa”. E va detto, in ogni caso, che l’esempio citato inizialmente è comunque dimostrazione del fatto che lo sport può suscitare forti passioni non soltanto in chi lo segue ma anche in chi lo pratica.

Purtroppo, però, non sempre il tifo si esprime in maniera sana e costruttiva. Può essere preso come esempio il caso del tifo calcistico, sicuramente uno degli sport più amati e seguiti nel nostro paese: accanto al tifo “ordinato” delle curve appassionate, caratterizzato da bandiere sventolate, canti ed inni intonati e cori di sostegno è facile trovare anche coloro che, buona parte delle volte, trascendono ampiamente i limiti della decenza e del rispetto per l’altro.

Ed è ancora interessante notare come studi della stessa economia comportamentale abbiano affrontato il fenomeno del tifo: il dato più “curioso” emerso da tale ricerca è che una vittoria contribuisce ad un miglioramento di circa 4 punti dell’umore (in una scala da 0 a 100) mentre una sconfitta porta un dolore quantificabile in 8 punti. Il dolore per una sconfitta è dunque doppio rispetto alla gioia provata per una vittoria. Ma il tifoso di questo è perfettamente consapevole. E allora perché si continua a tifare? A lasciarsi trasportare?

Proprio perché il tifo è emozione, irrazionalità; è la possibilità che ci si dà di lasciarsi sorprendere, in positivo o in negativo, da qualcosa. È il brivido della adrenalina. È la storia di un sentimento d’amore, forse anche in una delle sue più sincere accezioni.

Concludo con una riassuntiva ma efficace citazione dello scrittore inglese Nick Horby: “Nel momento del trionfo il piacere non si irradia dai giocatori verso l’esterno fino ad arrivare ormai smorzato e fiacco a quelli come noi in cima alle gradinate; il nostro divertimento non è una versione annacquata del divertimento della squadra, anche se sono loro che segnano i gol e che salgono i gradini per incontrare la principessa Diana. La gioia che proviamo in queste occasioni non nasce dalla celebrazione delle fortune altrui, ma dalla celebrazione delle nostre; e quando veniamo disastrosamente sconfitti il dolore che ci inabissa, in realtà, è autocommiserazione”.

Ludovica Italiano

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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