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La massiccia quasi coloniale presenza del commercio cinese nel nostro Paese è un fenomeno strano; migliaia i negozi ma soprattutto i mega negozi su tutto il territorio nazionale, tutti con la stessa merce che arriva da lontano, tutti con lo stesso arredamento: un franchising in realtà.

Non comprano gli immobili, non accendono mutui, preferiscono pagare senza muovere ciglio affitti a tre zeri, gli ordini delle merci sono mastodontici a sei zeri e tutte provenienti dalla loro patria.

Sul nostro suolo non investono, non consumano, non fanno pubblicità, raramente creano occupazione per i non connazionali. Mangiano i loro prodotti, temono poco il fisco italiano, tutti i loro guadagni li mandano a casa e all’età dei 50-60 anni rimpatriano in patria.

Neanche le pompe funebri nostrane traggono vantaggio da questa comunità, comunità chiusa che ha creato un’economia chiusa e parallela.

E se tutto ciò fosse permesso a causa di un accordo avvenuto più in alto, molto più in alto? Facendo un volo pindarico di fantapolitica e di geografia economica si potrebbe immaginare tra la Cina in espansione negli ultimi decenni e quelle nazioni dell’eurozona depresse e in crisi come l’Italia un patto: il colosso con gli occhi a mandorla avrebbe potuto comprare i fondi del debito sovrano e in cambio avrebbe avuto la libertà di colonizzare il commercio sul nostro suolo patrio.

Così il comparto del tessile, del mobile, della tappezzeria che per esempio a Prato, ma anche in Emilia, in Friuli, in Veneto, è dovuto soccombere alla concorrenza cinese non è stato soltanto per una concorrenza sleale del costo della mano d’opera e quindi la non concorrenzialità del prodotto finito, ma per una volontà precisa di permettere ciò a monte.

Stessa musica per il commercio al dettaglio di abbigliamento e di tutte quelle cianfrusaglie certamente di pessima qualità ma che ormai ha divorato il negozietto nostrano.

Fuori dai denti: non c’è stato protezionismo della nostra economia (discutibile ndr) ma volontà predeterminata in base ad un accordo tra le potenze di svendere il nostro territorio come nuovo suolo di conquista per l’economia altrui con la scusa della globalizzazione.

Nulla contro i cinesi, anzi ci sono molto simpatici, si tratta di elucubrazioni mentali da indigestione di governi che non tengono mai in considerazione il bene dei semplici cittadini.

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