Guerra a Gaza

Settantanovesimo giorno di guerra. Proseguono i combattimenti nella parte orientale del paese, dove sembra che gli ucraini stiano riprendendo un po’ di terreno presso la zona di Kharkiv, mentre però i Russi avviano una nuova controffensiva, forse diretta ad Odessa. Nel frattempo, tutto il paese continua ad essere martoriati dai bombardamenti del nemico, che, solamente l’altra sera, ha colpito la zona urbana di Komyshuvakha, nella regione di Zaporizhzhia, con 18 missili, distruggendo circa 60 case.

Il Den’ Pobedi russo e la vittoria ucraina.

La fatidica giornata del 9 maggio è ormai alle spalle e con essa qualsiasi speranza di porre fine il prima possibile all’orrore in corso. Lo scorso lunedì, infatti, si è celebrata in Russia la festa nazionale del Den’ Pobedi – Giorno della Vittoria – in cui tutte le ex repubbliche dell’Unione Sovietica, compresa l’Ucraina in cui la festività nazionale cade il giorno precedente, ricordano la vittoria sulla Germania nazista e la fine della Seconda guerra mondiale. La giornata ha un alto significato simbolico per la nazione russa, e molti credevano che il discorso del presidente Putin alla nazione, quest’anno, avrebbe potuto sancire l’inizio di un nuovo percorso per la guerra in Ucraina. Chi all’inizio vociferava della possibilità per Putin di porre fine alla guerra entro la fatidica data ha dovuto, ovviamente, ricredersi. Tuttavia, anche coloro che temevano il precipitare degli eventi, con la mobilitazione generale della Russia e la trasformazione dell’operazione speciale in una guerra dichiarata ufficialmente, non solo all’Ucraina, ma alla Nato tutta, sono stati, fortunatamente, smentiti.  Il discorso di Putin, infatti, è stato caratterizzato perlopiù da una certa cautela. Il presidente ha ribadito l’importanza dell’operazione in corso nel Donbass, come processo di “denazificazione” dei territori al confine con la patria, evocando un ambiguo parallelismo con gli eventi della Seconda guerra mondiale. «È stata una decisione forzata, tempestiva e l’unica giusta. La decisione di un paese sovrano, forte, indipendente» ha ribadito Vladimir Putin davanti alla folla adorante, aggiungendo che se la Russia non fosse intervenuta, sarebbe stata la Nato ad agire, con esiti tragici per la popolazione russofona residente. «Voi combattete per la sicurezza patria e per il futuro affinché non ci sia posto nel mondo per i criminali nazisti» ha concluso lo “Zar” rivolgendosi alle forze armate lì presenti.

Anche Kiev non è stata in silenzio. Il presidente Zelensky ha girato un videomessaggio, poi postato su Telegram in cui ha affermato: «Stiamo lottando per la libertà dei nostri figli e quindi vinceremo. Non dimenticheremo mai cosa fecero i nostri antenati durante la Seconda guerra mondiale, che uccise più di otto milioni di ucraini. Molto presto ci saranno due giornate della vittoria in Ucraina mentre qualcuno non ne avrà nessuna e Khreshchatyk vedrà la parata della vittoria, la vittoria dell’Ucraina». Al di là delle retoriche presidenziali, per Kiev, il 9 maggio è stato effettivamente un giorno di vittoria. I parà dello zar sono stati, infatti, sorpresi da un’imboscata organizzata dalle forze armate ucraine lungo il fiume Severskij Donec. Sulle sponde di questo nuovo Piave ucraino, Kiev ha registrato una delle più significative vittorie dall’inizio del conflitto, distruggendo i ponti che le truppe russe tentavano di costruire, e neutralizzando un intero battaglione avversario.

Zelensky a Porta a Porta «Al tavolo solo se i russi se ne vanno»

Zelenskji, nel frattempo, si è detto in un’intervista a Porta a Porta «pronto a parlare con Putin, ma senza ultimatum». Dure le parole del Capo di stato in guerra. Chiarendo le sue posizioni in merito alla possibilità di scendere al tavolo delle trattative, l’ex comico ha mostrato le proprie perplessità: «molte persone hanno lasciato le loro case, sono state uccise dai russi e vedo tracce di torture e uccisioni. Questo non fa che complicare molto la possibilità di condurre trattative, vogliamo che capiate che la nostra società è molto pacifica, da otto anni volevamo fare una trattativa». Inflessibili anche le parole in merito alle possibilità di un compromesso: «I russi se ne devono andare e devono rispondere di quello che hanno fatto. Non possiamo accettare compromessi per la nostra indipendenza». Resta da capire in che modo, in tali condizioni, sia effettivamente possibile un tavolo delle trattative, evocato questa volta, anche dallo stesso premier Draghi durante una riunione del Consiglio dei ministri.

La voce dei popoli, il frastuono delle armi.

Se il cuore è vicino alle sofferenze di un popolo costretto alla guerra per interessi che non rispecchiano il loro benessere, la testa non può fare a meno di prendere in considerazioni le regole della partita. Spesso una propaganda travestita da etica cerca di prendere il posto della lucida analisi dei fatti. Ed i fatti sono che, nonostante le vittorie compiute dagli ucraini e le sconfitte subite dai russi, rimane cosa poco probabile che Kiev possa ottenere, al meno di una disfatta interna della Russia o dell’entrata in guerra della Nato, una vittoria militare completa contro una superpotenza nucleare come la Russia, seconda al mondo, dopo l’Usa, per spesa militare. La mappa geopolitica, inoltre, si colora di nuove pericolose sfide alla pace, dopo la richiesta della Finlandia di aderire all’Alleanza, rendendo il clima, già teso, ai limiti della rottura. Helsinki è ormai ad un passo dall’adesione nel Patto Atlantico, come la Svezia. Putin sa che a breve il golfo di Finlandia, sul quale la stessa San Pietroburgo affaccia, potrebbe essere presieduto da truppe Nato. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, citato dalla Tass, ha fatto sapere che «Mosca –adotterà le necessarie misure per garantire la propria sicurezza». Aggiungendo che Helsinki dovrebbe seriamente prendere in considerazione le conseguenze di adesione al Patto Atlantico, rinunciando così alla sua storica neutralità. «Persuadendo la Finlandia ad aderire all’Alleanza – conclude Peskov – la Nato punta a creare un nuovo fronte della minaccia militare alla Russia». Di fronte a questo clima sarà ancora possibile avere la pace in tempi brevi? Questo non lo sappiamo, ciò del quale possiamo essere certi però, è che, ora più che mai, si fa necessaria la voce dei popoli che, silenziata dall’interesse dei potenti, sia in grado di sovrastare tanto il fragoroso boato delle bombe, quanto lo squillante chiasso di una folle retorica opportunistica: Che sia pace, no guerra!

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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