Esseri umani usati come merce di scambio: braccio di Ferro fra l’Ue e la Bielorussia.

Una grave crisi politica si sta consumando nell’Europa del Nord-est. Al confine con la Polonia, provenienti dalla Biellorussia oltre 4000 persone stazionano in attesa di essere accolte in Europa. Accampati lungo il confine, con tendoni e fuochi da campo, unico riparo alle rigide temperature notturne, la massa dei migranti preme alle porte del Nord Europa, incitata dagli spregiudicati interessi di Lukashenko. Il “tiranno di Minsk”, infatti, sembra giocare una partita a rialzo con Bruxelles. Una mossa quella di Lukashenko mirata a contrastare le sanzioni imposte dall’Unione Europea al suo regime. Il governo di Lukashenko ha infatti perseguito una politica di arresti, violenze e abusi ai danni di coloro che hanno osato manifestare il proprio dissenso nei confronti del presidente, ininterrottamente rieletto dalle prime, e uniche, elezioni democratiche del 1994.

Lo scambio di accuse, un gioco al rialzo

«La strumentalizzazione dei migranti per scopi politici da parte della Bielorussia è inaccettabile» ha commentato in un comunicato Ursula von der Layen, presidente della Commissione europea, alle quali si uniscono le dure parole di accusa di Steffen Seibert, portavoce di Angela Merkel: «Il regime di Minsk si comporta come un trafficante di migranti, e l’Europa prenderà posizione insieme». In questi giorni, infatti, a Bruxelles si sta decidendo per nuove sanzioni e forme di contrasto per contrastare l’arroganza di Lukashenko. Già sul tavolo del lunedì i Ministri degli Esteri europei valuteranno le possibili opzioni di contrasto, fra cui la costituzione di una black list di «compagnie aeree legate a Paesi terzi attive nel traffico di essere umani», secondo la stessa von der Layen. Dure le parole di Mateusz Morawiecki, primo ministro polacco, il quale ha definito la crisi migratoria indotta al confine come una «minaccia alla stabilità e alla sicurezza dell’intera Unione» sottolineando che «questo attacco ibrido del regime di Lukashenko è rivolto a tutti noi. Non ci facciamo intimidire e difenderemo la pace in Europa con i nostri partner della Nato e dell’Ue».

Dal canto suo, Minsk continua a negare l’uso improprio dei migranti, constatando semplicemente il loro stazionamento legale nel Paese: «Non sono state rilevate violazioni della legge da parte dei migranti. Sono legalmente in territorio bielorusso» ha affermato Ivan Kubrakov, ministro degli interni, rilasciando un’intervista all’agenzia ufficiale bielorussa Belta.  Accuse, quelle polacche ed europee, definite «infondate e prive di fondamento».

Minsk si sente forte e con le spalle protette dalla “grande madre Russia”. L’appoggio di Vladimir Putin è stato infatti fondamentale per Lukashenko durante le rivolte popolari avvenute in fase pandemica. Lo Zar non ha abbandonato il suo vassallo, né allora né ora.  Molti sono coloro che hanno sospettato un più diretto coinvolgimento di Mosca dietro le tensioni in corso; fra questi lo stesso premier polacco. Morawiecki, durante una riunione parlamentare, ha commentato l’attacco come minaccia condotta contro «la nostra sicurezza esterna», definito come l’ennesimo tentativo da parte della Russia di «ricostruire il suo impero» nell’Europa dell’Est. Nel frattempo, Lukashenko ha minacciato l’Unione Europea di rispondere alle nuove sanzioni con un taglio dei rifornimenti di gas. L’importanza del gasdotto di Yamal, transitante nel territorio della Russia Bianca, rende seria e assai sinistra tale minaccia. «Certamente non ci facciamo intimidire dalle minacce di Lukashenko» ha commentato Paolo Gentiloni, commissario Ue dell’Economia, durante una conferenza stampa tenutasi ieri. «Quando parliamo di autonomia strategica dell’Ue in campo energetico sarà fondamentale nel medio termine, nel breve certamente dobbiamo lavorare per utilizzare al meglio relazioni esistenti, sia con il Nord Africa, con la Norvegia, con la Russia».

L’ambiguità polacca

La Polonia, nel frattempo, ha reagito militarizzando l’area, inviando circa 15.000 carri armati lungo il confine e chiudendo il valico di frontiera di Kuznica, il più vicino alla zona di stazionamento dei migranti. «La Germania potrebbe inviare la polizia prontamente a sostegno della Polonia se Varsavia lo desidera», ha fatto sapere Horst Seehofer, ministro degli Interni ad interim della Germania, rispondendo al quotidiano Bild, «Dobbiamo aiutare il governo polacco a proteggere il confine esterno. Questo sarebbe effettivamente il compito della Commissione europea. Ora li invito ad agire». L’Europa, in effetti, si è detta più volte disposta ad aiutare la Polonia nella gestione della crisi politico-umanitaria in corso, tuttavia, Varsavia continua a rifiutare l’aiuto comunitario. In palio sono non solo l’orgoglio nazionale e la libertà di gestione dei respingimenti alla frontiera, nonostante la palese violazione del diritto internazionale, ma anche, l’investimento politico nazionalistico agli occhi della propria opinione pubblica.

La cecità del potere

Di queste dinamiche politiche e degli interessi in gioco, di certo ben poco hanno coscienza i poveri migranti, a migliaia ammassati ormai al confine fra Bielorussia e Polonia. Uomini, donne, anziani e bambini, provenienti soprattutto dal Medio Oriente, premono lungo il confine polacco. Alcuni, 10 secondo le fonti polacche, sono già morti dal freddo. Pedine inconsapevoli di un gioco che si svolge sulla loro pelle.  L’unione europea rappresenta per tanti un sogno, una terra promessa per quella povera massa di sfollati in fuga da guerre, carestie, soprusi e povertà. Pressati sul confine, ad un passo dalla salvezza, la loro disperazione diventa mero strumento politico per il regime di Lukashenko. Un’angosciosa speranza, quella dei migranti, consumata per l’ennesima volta dagli interessi del potere, sempre più interessato a sé stesso e mai agli uomini.

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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