Là dove resort e villaggi paradisiaci si stagliavano tra meravigliose spiagge, ora sono le ceneri e i detriti delle vecchie abitazioni ad emergere dopo l’eruzione vulcanica. La peggiore degli ultimi 30 anni, secondo gli esperti è stata l’esplosione avvenuta nel regno di Tonga, arcipelago polinesiano nel Sud est del Pacifico. Il 15 gennaio il vulcano Hunga Tonga- Hunga Ha’apai, silente e apparentemente calmo, nel giro di due ore ha dato luogo a 10 megatoni di esplosione. Una detonazione pari a 10 milioni di tonnellate di tritolo. «La forza esplosiva è stata 500 volte più potente della bomba atomica sganciata su Hiroshima alla fine della Seconda Guerra Mondiale» ha dichiarato James Garvin, capo scienziato del Goddard Space Flight Center della Nasa. Le onde acustiche sono state registrate perfino sull’Etna, mentre il potente tsunami che ne è derivato è arrivato a lambire le coste dell’America latina, dove in Perù, due persone hanno perso la vita a causa del maremoto.

Il Regno di Tonga, formato da più di 170 isole, si trova nel Sud del Pacifico, a nord-est della Nuova Zelanda lungo una linea di subduzione, ovvero la zona in cui i margini di una placca terrestre sprofondano sotto quelli di un’altra placca. I margini del Pacifico spingono e si infilano sotto la placca australiana, generando emissioni di materiale da cui le stesse isole sono state formate, insieme ai numerosi vulcani sottomarini e terrestri con i quali i tongani da tempo convivono. Fra questi vulcano Hunga Tonga. Quest’ultimo lo scorso 15 gennaio si è risvegliato con tutta la sua forza. L’onda d’urto registrata dal satellite ha raggiunto un’altitudine di circa 30mila metri.  La grande quantità di cenere e polveri ricaduta ha ricoperto intere parti della vegetazione e delle zone abitate delle isole, mentre le onde anomale, provocate dal terremoto vulcanico, hanno attraversato il Pacifico infrangendosi lungo le coste del Cile e del Perù. Qui lo tsunami ha distrutto un impianto di raffinazione petrolifera, riversando una quantità di petrolio pari a 6 barili.  Il prezioso materiale si è depositato lungo 18.000 km di aree protette, contaminando 21 spiagge e costringendo il presidente a dichiarare lo stato d’emergenza.

Secondo Michael Poland, geologo statunitense, quella del 15 gennaio «potrebbe trattarsi dell’esplosione più rumorosa avvenuta sulla terra dal 1883, quando esplose il vulcano Krakatoa in Indonesia».

L’aiuto della comunità internazionale e il pericolo del Covid che non ha ancora toccato l’arcipelago. Il rischio di una crisi umanitaria

Giungono gli aiuti umanitari e offerte di soccorso da tutto il mondo. Il governo tongano stima che la popolazione colpita dall’eruzione vulcanica e dal successivo tsunami che ne è conseguito sia superiore all’84% di quella totale. La posizione remota dell’arcipelago, inoltre, di certo non favorisce la velocità nelle operazioni di soccorso. La cenere e i lapilli hanno ricoperto le piste di atterraggio, mentre la comunicazione ha subito gravi danni. L’unico cavo in fibra ottica che collega il piccolo regno polinesiano al resto del mondo è stato danneggiato, e le riparazioni impiegheranno più di un mese per essere portate a termine. Provvisoriamente, l’operatore locale Digicel è riuscito a ripristinare parte del vecchio sistema 2G, consentendo così agli abitanti di telefonare e inviare messaggi all’interno dell’arcipelago. Le comunicazioni esterne sono affidate esclusivamente ai telefoni satellitari, di proprietà delle ambasciate straniere.

Il governo ha precisato che le priorità al momento sono il cibo e l’acqua per la popolazione, dal momento che a causa delle ceneri vulcaniche e delle onde anomale, la maggior parte delle riserve di acqua potabile sono state contaminate. Oltre 60mila litri, finora, sono stati distribuiti dai soccorritori, mentre la nave neozelandese Hmnzs Aotearoa, la prima ad attraccare, ha trasportato con sé 250 mila litri d’acqua ed un impianto di desalinizzazione in grado di produrre 70 mila litri d’acqua pulita al giorno. A seguire la nave australiana Hmas Adelaide, con a bordo degli elicotteri, necessari per poter raggiungere le isole più piccole e remote del regno.  Le piste di atterraggio, nel frattempo, sono state prontamente sgombrate dalla cenere vulcanica rendendo nuovamente possibile da giovedì il trasporto aereo.

Ad oggi il bilancio ufficiale delle vittime è di due tongani ed un cittadino britannico, ma il numero degli sfollati è altissimo, e l’evidente rischio di un’emergenza umanitaria è alle porte. Il rischio è infatti che giunga, insieme ai soccorsi anche il Covid, flagello del quale il remoto ed isolato arcipelago sembra essere scampato, almeno per ora. Con un solo caso di positività dall’inizio della Pandemia, gli isolani hanno fatto della loro distanza geografica una barriera efficace contro il virus, ma ora che nuove necessità impongono di riallacciare più stretti contatti con il resto del mondo, la popolazione si ritrova totalmente impreparata ad affrontare una nuova minaccia, tanto più acuta se considerate le precarie condizione e la scarsa igiene della situazione contingente. «Sono preoccupato – afferma Curtis Tuihalangingie diplomatico tongano a Canberra- dal possibile tsunami di Covid che potrebbe colpire Tonga». Per questo motivo un aereo australiano, fa sapere il Guardian, carico di aiuti è stato costretto a tornare indietro dopo che a bordo è stato scoperto un caso Covid, risultato negativo ai test rapidi, ma non all’analisi molecolare.

 

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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