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Non è possibile affrontare con eccessiva leggerezza nessuna opera di Sorrentino dal momento che, anche se apparentemente smargiassa e ferocemente umoristica, nasconde in realtà – appena sotto la patina esteriore – un discorso serissimo, la maggior parte delle volte legato al Potere e alle sue infinite varianti. Non fa eccezione Loro 1, la prima, ancora in parte ambigua e indistinta, metà di un dittico in cui il regista napoletano, sulle orme di suoi precedenti lavori – da Il divoLa grande bellezza a The Young Pope – affonda di rasoio nella rappresentazione di una rappresentazione; nel ritratto, conturbante, falsamente smagliante, minaccioso, di un “Lui” e di “Loro”, appunto, la comunità televisiva capitanata da Berlusconi (in questo caso) o quella evangelica guidata da Lenny Belardo/Papa Pio XIII (nel caso della miniserie prodotta da Sky Atlantic e HBO). In siffatto contesto il medium arriva veramente ad essere il messaggio (nell’angosciante prendere forma dell’assioma di McLuhan) ed entrambi vuoti e aridi simulacri, contenitori vuoti in cui la forma, ciò che appare, è tutto ciò che è. Sorrentino fa, in questa prima parte, il verso a se stesso, al suo cinema a tratti eccessivo, caricaturale, sopra le righe, per mettere in scena l’iperartificiosità di un uomo, un sistema di potere, una società corrosi nel profondo, decadenti, morti. Ricco e disparato cast di interpreti, com’è tradizione nell’ultimo cinema di Sorrentino, su cui spicca, inutile a dirsi, il sempiterno Toni Servillo, splendida e altissima maschera scherzosa e tragica.

Ismaël Vuillard (Mathieu Amalric) è un regista-scrittore, ossessionato dal proprio faticoso parto letterario, Ivan Dedalus (Louis Garrel), dal proprio lavoro, dall’estro creativo, da Carlotta (Marion Cotillard), l’amatissima moglie scomparsa nel nulla vent’anni prima e poi ri-materializzatasi (a guisa di un ectoplasma) all’improvviso, dal padre di lei, Henri Bloom (Laszlo Szabo), autore di cinema. Tutte queste figure incarnano I fantasmi di Ismael del titolo: allucinate eppure appassionate e autentiche figure a metà strada tra immaginario e realtà, verità e delirio, sogno e rêverie; espressioni di un tempo sospeso tra presente e passato, colmo di rimpianto. Arnaud Desplechin continua in quest’ultimo film, alla maniera di Truffaut con il personaggio di Antoine Doinel, il suo personale viaggio autobiografico, alla ricerca di identità esistenziali e narrative in gran parte sfuggenti, di un femminino misterioso, di corrispondenze d’amorosi sensi piuttosto difficili da trovare. Pastiche di alto livello estetico, autoreferenziale, citazionista, Les fantômes d’Ismaël rielabora in maniera originale l’influsso di Bergman, del già citato Truffaut, di Hitchcock, mischiando abilmente generi diversi, dalla commedia, al thriller, al melodramma, alla spy story. Bella prova di Charlotte Gainsbourg nel ruolo di Sylvia, l’innamorata di Ismael.

Barbara Rossi