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Guido Chiesa (Il partigiano Johnny, Classe Z) si dirige con Ti presento Sofia – rifacimento della pellicola argentina Se permetti non parlarmi di bambini! di  Ariel Winograd, 2016 – dalle parti della commedia sociale e di costume, dipingendo, ultimo solo in ordine di tempo, il complicato universo delle famiglie di divorziati nell’accezione meno positiva, cioè quando il passato amore non dà luogo a risolte famiglie allargate, ma, al contrario, produce divisioni, tensioni e bisogni di segretezza destinati a ripercuotersi – inevitabilmente – sui figli. Gabriele (Fabio De Luigi), un passato da rocker, gestisce con serenità un negozio di strumenti musicali. Divorziato dalla moglie, che ha ricostruito una nuova famiglia con un altro uomo, da cui attende un bambino, Gabriele ha scelto di occuparsi a tempo pieno di Sofia (la piccola e brava Caterina Sbaraglia), la figlia di dieci anni, escludendo totalmente dalla propria vita qualsiasi altra figura femminile. L’imprevisto arriva con Mara (Micaela Ramazzotti), sua vecchia amica e fotografa rampante, con la quale scatta un certo feeling: la donna, purtroppo, detesta i bambini e per continaure a frequentarla Gabriele sarà costretto a camuffare la presenza di Sofia, con risultati imprevedibili. Ti presento Sofia, scritto dallo stesso Chiesa insieme alla compagna Nicoletta Micheli e a Giovanni Bognetti, è un film che – com’è nella tradizione del nostro cinema – riflette su tematiche e realtà contemporanee tramite il registro della commedia leggera, a tratti divertente, ma di una comicità dal retrogusto amaro e malinconico. Buono il cast di attori, ben congegnati i dialoghi e le situazioni narrative. Una pellicola per evadere, riflettendo.

First Man – Il primo uomo del regista trentaduenne Damien Chazelle, tra i più giovani vincitori, nel 2017, dell’Oscar (per il musical La La Land), offre uno spaccato estremamente rigoroso delle lotte, fatiche, errori, sacrifici, umane tragedie che la corsa americana alla conquista dello spazio, della Luna in particolar modo, procurò, soprattutto ai primi astronauti e alle loro famiglie. La pellicola – presentata lo scorso agosto in anteprima mondiale ad apertura della 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e, a settembre, al Toronto International Film Festival – racconta con obiettività e franchezza, focalizzandosi sulla figura di Neil Armstrong e adottando il suo punto di vista sullo svolgersi degli eventi, la parte iniziale di quel Programma Apollo varato dalla Nasa che toccò il suo apice la notte del 20 luglio 1969, con lo sbarco dell’uomo sulla Luna. A livello stilistico (anche per quanto riguarda lunghezza e tempi morti) è evidente il debito da opere precedenti quali Apollo 13, Interstellar, Solaris e financo 2001: Odissea nello spazio e Arrival. A livello contenutistico balza allo sguardo il voler porre l’accento anche sulla dimensione privata dell’esperienza extra-terrestre: il peso fisico e psicologico sopportato dagli astronauti, da mogli e figli impreparati ad affrontare gli enormi risvolti esistenziali che un’impresa di tal genere avrebbe comportato. Rivalità, pressioni altissime da parte di un’intera nazione e di tutta la comunità scientifica internazionale: in parallelo, la necessità, da parte di Armstrong (interpretato da un Ryan Gosling un po’ troppo compresso nel ruolo) di far fronte all’elaborazione del lutto per la prematura scomparsa di una figlia ancora bambina. Tra il silenzio profondo dello spazio e il rumore assordante di una navicella spaziale ancora primitiva in quanto a struttura tecnologica, con il piede poggiato sul suolo lunare, Neil riflette sulla visiera del proprio scafandro il nero del cosmo, il senso di vuoto e di solitudine di un animo profondamente smarrito.

Barbara Rossi