Prosegue lo stop alle armi in Yemen. Sembra un primo e vero spiraglio di pace l’armistizio, il primo dal 2016, stipulato un paio di mesi fa tra il governo yemenita e le milizie separatiste sciite Houthi. La guerra civile e le difficoltà sociali sommate all’isolamento economico, in cui il paese è costretto a fasi alterne da decenni, hanno reso lo Yemen una delle regioni più povere ed instabili al mondo, determinando quella che per l’Onu è stata definita la peggiore crisi umanitaria al mondo. I conflitti in corso nella regione, di cui l’attuale guerra civile è solo l’ultimo anello di una catena di disastri, hanno radici storiche profonde ed hanno impedito al paese di indirizzare le già limitate risorse per lo sviluppo e per l’adeguamento infrastrutturale del quale la popolazione avrebbe un disperato bisogno.

Dal 2015, infatti, il Paese, riunificatosi dal 1990 dopo numerose difficoltà, secessioni e fallite ribellioni, si è ritrovato catapultato in una sanguinosa guerra civile combattuta fra le forze separatiste zayidite degli Houthi – gruppo armato sciita appoggiato dall’Iran – e il governo centrale yemenita sostenuto dai sauditi, trasferitosi, dopo la conquista Houthi della capitale  Ṣanʿā, a Aden.

La tregua e la pace, un cammino difficile

La tregua entrata in vigore lo scorso due aprile, prolungata dai primi di giugno per altri due mesi, è stata salutata dalla comunità internazionale come un barlume di speranza nella tragedia umanitaria in corso. «Negli ultimi mesi, il governo dello Yemen ha mantenuto la moderazione nonostante la milizia Houthi abbia commesso violazioni quotidiane su vari fronti, – afferma una nota dell’ambasciata yemenita in Italia, esprimendo ottimismo per i recenti sviluppi del conflitto – rappresentati da bombardamenti di artiglieria, mobilitazione, trasferimento di forze, e attacchi con droni che hanno provocato la morte di 72 persone e 267 feriti tra l’esercito nazionale». Forte l’appello del governo yemenita affinché la comunità internazionale possa fare pressione al fine di liberare dall’assedio la città di Taiz, cosa che i ribelli, nonostante l’armistizio in corso, non sembra abbiano intenzione di fare. «La milizia Houthi – afferma la nota della rappresentanza diplomatica in Italia – continua anche a ostacolare il funzionamento dei voli dell’aeroporto di Sana’a, la mancata erogazione dei proventi dei derivati del petrolio come stipendi ai dipendenti e le loro quotidiane violazioni della tregua su vari fronti». Nonostante tali difficoltà, il Consiglio presidenziale, guidato da Rashad ad Alimi, prosegue ottimista sulla speranza che tale armistizio possa prolungarsi in qualcosa di più definitivo aprendo la strada verso la costruzione di una pace duratura: «il governo continua a consolidare la tregua come passo verso la pace, ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti di tutti i cittadini yemeniti, di porre fine alle loro sofferenze e affrontare tutte le questioni umanitarie e le loro ramificazioni ovunque nello Yemen».

L’impegno internazionale

Anche Hans Grundberg, diplomatico svedese inviato delle Nazioni Unite in Yemen, ha definito fondamentale che l’impegno di tutti sia nell’estendere e nel rendere più duraturo possibile l’impegno alla pace da poco rinnovato. L’obiettivo, per il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, fa sapere Grundberg è ricercare «soluzioni durevoli alle pressanti esigenze economiche e di sicurezza» che gravano sulle spalle della debolissima economia nazionale e che aiuterebbero lo Yemen ad uscire dalla guerra in corso, costruendo, insieme, una nuova pace nazionale.

Una serie di sventurati eventi

Situazione tanto più critica quanto aggravata dalla crisi alimentare in corso, che, secondo le stime della Fao e del Wfp (Programma alimentare delle Nazioni Unite), raggiungerà picchi molto più elevati rispetto alle precedenti crisi del 2011 e del 2007/2008.

Il cambiamento climatico sta portando alla siccità numerose zone del mondo, mentre il Covid e gli shock economici, causati da un’economia orami non più sostenibile, non solamente dal punto di vista ambientale, hanno destabilizzato i prezzi del cibo e le capacità di resilienza di numerose popolazioni e nazioni. In ultimo la guerra in Ucraina, con la sua ripercussione alimentare, causata dalla battaglia del grano in corso nel Mar Nero, contribuisce non poco a rendere più cupo un quadro già di per sé allarmante.

«Siamo profondamente preoccupati per l’impatto combinato di crisi sovrapposte che mettono a repentaglio la capacità delle persone di produrre e accedere agli alimenti, spingendo altri milioni di persone a livelli estremi d’insicurezza alimentare acuta» ha dichiarato Qu Dongyu, direttore generale della Fao.  «Siamo in una corsa contro il tempo» ha affermato Qu Dongyu, a cui fa eco la voce del direttore del Wfp, David Beasley, il quale ha definito come «tempesta perfetta» la serie di sventurati eventi in corso nel mondo. Questa, secondo Beasley «non solo danneggerà i più poveri tra i poveri, ma travolgerà anche milioni di famiglie che fino a ora hanno quasi tenuto la testa fuori dall’acqua».

La “normalità” del futuro, la chance per un cambiamento

Il rapporto della Fao e del Wfp sembra delineare una nuova – triste – normalità, dove siccità, inondazioni e uragani decimeranno ripetutamente raccolti e allevamenti, dove la fame acuta e i bisogni umanitari saranno sempre più diffusi e sempre più all’ordine del giorno, dove la politica, incapace di pensare a lungo raggio, si dilanierà in sterili programmi autoreferenziali lasciando spazio a guerre e conflitti. Un sistema sociale ed economico, quello da noi costruito, che, come il pianeta, va via via a divenire sempre più inospitale. Non siamo ancora pronti ad abbandonare il secondo, lo saremo per farlo con il primo?

 

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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