Proseguono gli scontri nel Kazakistan. Ciò che era nata come una semplice manifestazione contro il rialzo del Gpl e protesta contro il carovita si è trasformata, in pochissimo tempo, in una vera e propria guerriglia urbana. Impressionanti i numeri riportati dal ministero dell’Interno kazako; oltre 3000 le persone arrestate, 26 le vittime fra i manifestanti e 18 fra le forze dell’ordine, alle quali si sommano 748 feriti. Numeri forse sottostimati e destinati a crescere soprattutto dopo l’ordine del presidente Kassym- Jomart Tokayev di sparare sui cittadini in rivolta, definiti dallo stesso come «terroristi» e «banditi manovrati da agenti stranieri». «Stiamo fronteggiando un’aggressione armata condotta da gruppi terroristici addestrati all’estero – afferma in un comunicato stampa il capo di stato – i banditi armati che hanno messo a soqquadro il paese, verranno eliminati». In televisione invece Tokayev ha assicurato al paese il ripristino «dell’ordine costituzionale», nonostante il proseguimento delle operazioni delle forze dell’ordine definite «antiterroristiche», destinate a durare «fino alla distruzione totale dei militanti» stimati intorno all’ordine di «20.000».

Le prime forme di protesta hanno avuto luogo poco dopo Capodanno. Il 2 gennaio, nella capitale kazaka Nur-Sultan, un gruppo di cittadini è sceso in piazza a manifestare contro il rincaro dei prezzi alimentari e del gas energetico, di cui il Kazakistan è particolarmente ricco, essendo il principale produttore dell’area. L’agitazione popolare contro le manovre finanziarie del governo di Mamin, appoggiato dal presidente Tokayev, ha presto degenerato in una vera e propria insurrezione popolare con la presa d’assedio dei principali palazzi del potere e la distruzione delle statue di Nursultan Nazarbayev, ex presidente e padre della patria. A nulla è valso il repentino dietro front del presidente, con il ripristino della calmierazione e la destituzione di Mamin.  La rivolta ben presto si è diffusa nelle altre principali città del paese, radicalizzandosi ed intensificandosi sempre di più nei centri di Almaty, Shymkent e Taraz. Saccheggi, violenze, arresti, uccisioni e addirittura decapitazioni sono il risultato del disastro sociale e politico in corso nel Centro Asia. Difficile in realtà è anche solo avere un’immagine reale ed aggiornata della situazione nel teatro della rivolta, a causa dell’oscuramento di Internet, il blocco alla telefonia mobile e la generale sordina imposta dalle autorità kazake.

Il sogno di Putin. Un’opportunità per ricostruire “l’impero”

Occasione questa, per Vladimir Putin, che di certo non si è lasciato scappare. Il Trattato di sicurezza collettivo (Csto), stipulato fra la Russia e le cinque ex repubbliche sovietiche, è per la prima volta entrato in funzione per la prima volta dalla sua costituzione, risalente a 30 anni fa. Circa 3700 truppe, di cui 2550 russe, sono entrate nella giornata del 6 gennaio all’interno dei confini kazaki. «Una forza di mantenimento della pace dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva è arrivata in Kazakistan e ci resterà per un periodo limitato», ha spiegato il presidente Tokayev, «fino a quando verrà garantita la protezione delle strutture strategiche». Così facendo Putin ha messo a segno un bel punto, trovandosi ancora più vicino al suo sogno di restaurazione del ex territorio sovietico. Negli anni passati infatti Putin ha appreso bene come gestire a proprio favore le insurrezioni popolari in corso nei paesi stranieri, come in Siria e in Bielorussia. Questa volta poi, in particolare, lo zar non ha dovuto fare alcuna fatica, è stato lo stesse presidente kazako ad invitarlo, stendendo un bel tappeto rosso all’entrate del suo paese. Così se alla vigilia dell’Epifania il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, aveva assicurato la capacità del Kazakistan di «risolvere i suoi problemi da solo senza che nessuno interferisca dall’estero», il giorno dopo una nota ufficiale di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha annunciato ufficialmentel’invio di «forze di pace» nel paese dell’asia centrale.

L’inquietudine della comunità internazionale e l’egemonia cinese

«Seguo quanto sta accadendo con grande inquietudine. Bisogna garantire la sicurezza dei cittadini, invito tutte le parti alla moderazione. L’Ue è pronta a dare il suo aiuto» ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen alle quali fanno seguito le parole l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell, «Ho ricevuto un aggiornamento sulla situazione in una chiamata con il ministro degli Esteri del Kazakistan, Mukhtar Tileuberdi. Ho espresso la disponibilità dell’Ue a sostenere la stabilità e la riduzione delle tensioni. Continueremo a monitorare da vicino la situazione. È importante che i diritti e la sicurezza dei civili siano garantiti»., «L’Europa è pronta a fornire il suo supporto per affrontare la crisi». sottolinea Borrell. Anche Washington segue con apprensione la vicenda, allarmato dalle mire espansionistiche russe. «Sorvegliamo eventuali violazioni dei diritti umani» ha dichiarato Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stato americano, il quale ha aggiunto: «Vigiliamo su eventuali azioni che possano gettare le basi per una presa di controllo delle istituzioni del Kazakistan». Caute invece le parole di Pechino. Xi Jinpin difende le azioni di Tokayev, definito «come un abile statista, con forte senso di responsabilità» in virtù «efficaci e decisive» decisioni da lui assunte, in grado di per «calmare velocemente la situazione». Tuttavia, il ministero degli Esteri cinese afferma che «Quanto sta accadendo in Kazakistan è un affare interno di quel Paese. Crediamo che le autorità kazake possano risolvere la questione nel modo appropriato». Parole che riflettono una posizione delicata, dove gli interessi delle grandi superpotenze orientali, Russia e Cina, rischiano di convergere in attriti dalle potenzialità catastrofiche. Se infatti il Cremlino ha accettato da tempo di cedere il trono dell’egemonia asiatica alla Cina, non è disposta ad arretrare di un passo in asia centrale, area che considera sua diretta appartenenza. Tuttavia, dal 2013, con l’iniziativa della Belt and Road Initiative, la Cina ha investito nel paese quasi 9 miliardi di dollari, superando di gran lunga gli investimenti russi.

L’Italia e l’esempio kazako

Anche l’Italia «segue con grande preoccupazione i gravi eventi, rivolgendo un forte appello affinché si metta immediatamente fine alle violenze» afferma in una nota la Farnesina, nella quale si specifica la richiesta di un avvio «ad percorso nazionale di allentamento delle tensioni in un quadro di piena sovranità, in linea con gli standard di rispetto dei diritti e di pluralismo fissati dalle Organizzazioni Internazionali di cui il Kazakhstan è membro». L’eco delle vicende asiatiche e dei rapporti con la Russia aumenta sempre di più la sua ripercussione nelle ricadute soprattutto economiche anche per il bel paese. Ad ogni modo in Italia l’impennata esponenziale del carovita, con il vertiginoso aumento del 55% di luce e 41,8% di gas, a differenza del Kazakistan, è stata accolto con placida ed italica rassegnazione. L’inflazione, triplicata in soli sei mesi proprio a causa dei rincari sui beni energetici, dimostra l’iper-connessione finanziaria, economica e politica che il sistema mondiale ha raggiunto. Se un battito d’ali può causare una tempesta, cosa potrà fare il conflitto in uno dei principali paesi esportatori di idrocarburi?

Daniele De Camillis

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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