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Il weekend dell’Immacolata propone al cinema due storie differenti per origine e trame, accomunate tuttavia da un alto tasso di drammaticità e dal porsi come emblematico specchio per contesti e realtà sociali ancora irrisolti e, forse anche per questo, fondamentamentalmente violenti.

Suburbicon, sesto film dell’attore e regista George Clooney, si addentra nel “cuore nero” della famiglia Lodge, del capofamiglia Gardner (Matt Damon), di sua moglie Rose, paralitica, e di sua sorella gemella Margaret (un doppio ruolo per la sempre più brava Julianne Moore), del piccolo Nicky (Noah Jupe). La residenza del gruppo familiare è l’apparentemente tranquilla cittadina americana di Suburbicon; quando, però, i Meyers, una coppia di colore con un figlio dell’età di Nicky, si trasferisce a vivere nella casa accanto a quella dei Lodge, un’ondata di violento odio razziale si diffonde a macchia d’olio, aggravata dalla violenta aggressione con tragedia finale cui la famiglia di Gardner viene sottoposta una notte da parte di due sconosciuti. Ma, a Suburbicon, nessuno può dirsi innocente. Con questa dark comedy spietatamente lucida e sapientemente autoironica (elaborata da un antico soggetto dei fratelli Coen), di un umorismo tragico e graffiante, Clooney affonda il coltello nel cuore dell’America perbenista, benpensante, rassicurante solo esteriormente, nella fragile facciata di consolanti certezze e tolleranza dietro cui si cela. Suburbicon è un film “politico”, di denuncia – sotto la patina inacidita e rancida della commedia – dell’altra faccia dell’osannato american way of life. Ottimo stile di regia, magistrali interpretazioni di Matt Damon e Julianne Moore.

Con L’insulto il regista libanese Ziad Doueiri (West Beirut) racconta, attraverso una piccola storia emblematica, un vero e proprio exemplum, le tensioni, l’odio e l’intolleranza che ancora animano la Beirut odierna, a diciassette anni dalla fine della guerra civile. Tony (Adel Karam), meccanico libanese cristiano, e il capocantiere palestinese Yasser (Kamel El Basha, Coppa Volpi per il miglior attore alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia) arrivano, a partire da un normale e piuttosto banale battibecco, a farsi stritolare dentro una spirale di rabbia, tensioni, rivendicazioni e colpi bassi, che da incidente privato si trasforma molto presto in una questione collettiva. Il soggetto del film, nato da un’esperienza reale vissuta dal regista ed elaborato con l’aiuto della sceneggiatrice e compagna di vita Joelle Touma, tenta di approfondire e spiegare i meccanismi di memoria e rimozione, sui quali un popolo e una società intera fondano la propria storia, la sua interpretazione, i concetti di vincitori e vinti, il perdono, la pietà. Il messaggio e monito, attraverso la drammaticità e, spesso, l’assurdità dell’assunto, sono, ovviamente, quelli della tolleranza, del ripensamento razionale del proprio passato, teso all’edificazione di un nuovo inizio. Film scorrevole, asciutto, incisivo, toccante. Da meditare.

Barbara Rossi