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Sull’isola d’Elba il campione non appende gli scarpini e, seppur in pensione, allena gli Allievi della squadra di Portoferraio

Una lunga e piacevole chiacchierata con il giocatore mancino più estroso della storia dei Grigi

Arrigo, abiti sempre a Portoferraio all’isola d’Elba?
Si, ho avuto in gestione un bar, anche se ora è soprattutto mia moglie ad occuparsene. Io, pur essendo ormai in pensione, dopo aver fatto il dirigente a Civitavecchia, ora alleno gli Allievi della squadra di Portoferraio. Per me è stata la soluzione ideale, così non devo più viaggiare in continuazione.

Insomma, alla fine non hai resistito al richiamo del campo da gioco…
Beh, è molto bello il contatto con i giovani! E poi così mi tengo in forma… La nostra struttura ha due campi, uno con l’erba tradizionale e l’altro in sintetico. Abbiamo fatto anche un gemellaggio con il Milan: ogni tanto vengono a trovarci e poi noi ricambiamo la visita.

Iniziamo a sfogliare idealmente l’album dei ricordi: che effetto ti fa ripensare al periodo trascorso ad Alessandria?
Sono stati anni molto belli e intensi. Tra me e l’allora Presidente dei Grigi Paolo Sacco, poi, c’era un rapporto davvero speciale. Io ero un po’ il suo preferito: pensa che una volta mi disse “Ti pagherei solo per vederti palleggiare nel mio giardino”… È stata una frase che mi ha riempito davvero di orgoglio!

Qui hai vinto la Coppa Italia di Serie C e hai conquistato l’ultima promozione in Serie B: ma è vero che risale a quel periodo anche la tua passione per la pittura?
Si, è proprio così. Ho iniziato a dipingere quasi per gioco e ogni tanto mi capitava di arrivare un po’ ritardo per l’allenamento. Poi, con il tempo, la pittura mi ha appassionato così tanto che qualche volta chiamavo al telefono per dire: “Oggi non mi sento tanto bene, forse è meglio che io venga domani…” (Ridiamo entrambi, N.d.r.)

Fammi capire: tu dovevi completare un quadro, non volevi perdere l’ispirazione e allora ti davi malato?
(Sorride sornione, N.d.r.) Eh, in fondo era un peccato lasciare a metà un lavoro: se poi l’idea mi passava di mente…

Figurina-Arrigo-DolsoTanti bellissimi ricordi, anche se purtroppo, ogni tanto arriva qualche triste notizia come la recente scomparsa sia del tuo ex compagno di squadra Lorenzetti, sia di Mister Ballacci…
Con Lorenzetti avevamo solo due anni di differenza: avevamo già giocato insieme nella Lazio, ci siamo riincontrati poco dopo ad Alessandria e anche in seguito ci siamo sempre frequentati. Tant’è che cinque anni fa era venuto anche lui all’Isola d’Elba: gestiva un albergo e faceva l’allenatore insieme a me. Fino alla fine ho sempre cercato di stargli vicino, sentendomi ogni giorno con sua sorella. Per me è stata davvero una grande perdita.

E di Dino Ballacci cosa mi racconti?
Beh, con il Mister abbiamo ottenuto l’ultima promozione in Serie B dei grigi: era un uomo “vecchio stampo”, nel senso più nobile del termine, a volte un po’ severo e burbero, ma sapeva ottenere il meglio dai suoi giocatori. E, infatti, nella sua carriera di allenatore ha spesso raggiunto grandi risultati.

A proposito di grandi Mister: quando sei stato a Varese, hai giocato insieme ad un altro futuro allenatore davvero speciale, Giovanni Trapattoni…
Il “Trap” era già un allenatore in campo: un uomo di grande carisma, nonostante fosse fondamentalmente una persona umile. E poi, essendo ormai all’ultimo anno di carriera da calciatore, era ormai perfettamente consapevole dei proprio pregi e dei propri limiti…

Ad Alessandria ci sono ancora tanti tifosi che sostengono che tu sia stato il miglior giocatore mancino della storia dei grigi…
Eh, addirittura… (Sorride, N.d.r) …Beh, mi fa molto piacere e li ringrazio! Diciamo che chi è mancino, di solito ha sempre “un qualcosa” in più. E poi, lo si nota già nei bambini più piccoli: è un approccio particolare, direi diverso dagli altri…

Tu sei stato un grande giocatore, ma, a detta degli addetti ai lavori, avresti potuto fare ancora molto di più: eri geniale ma un po’ sregolato…
Mah, sai… Quando avevo vent’anni sono andato a giocare a Roma, una città stupenda. Parliamo della metà degli anni ’60, un periodo davvero irripetibile! Io poi abitavo vicino al famoso locale Piper; quindi, appena c’era la possibilità, andavo sempre lì oppure passavo da Via Veneto. Ti lascio immaginare quanto mi sia divertito. E poi, c’è da dire che io non passavo mai la palla e, soprattutto, mi divertivo troppo a fare i “tunnel” all’avversario… Pensa che ne ho fatto uno anche al nazionale olandese Ruud Krol, che allora era nel Napoli: io avevo già 35 anni, ero a fine carriera e giocavo a Grosseto, ma sai la soddisfazione?

 

Gianmaria Zanier

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