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L’esperienza di volontariato di una giovane alessandrina

4 mesi per far rispettare i diritti universali dei bambini

Dopo studi universitari in Cooperazione e sviluppo ed esperienze nello scoutismo, Chiara ha deciso di fare un grande passo. Cioè preparare armi e bagagli e andare in Africa, destinazione Louga, nord del Senegal. Chiara però non c’è andata per una visita di piacere, né per contrarre il cosiddetto “mal d’Africa”. No, lei c’è andata per aiutare gli abitanti del luogo in modo concreto e con le sue competenze, senza pretese salvifiche, spesso caratteristiche di chi si dice sensibile alle questioni del continente nero. Impegnata in un progetto dell’ong CISV attraverso il Servizio Volontario Europeo e accompagnata da altre cinque persone, Chiara ha passato quattro mesi nella città settentrionale senegalese con il compito di far rispettare i diritti universali dei bambini. Si recava tre volte alla settimana in un asilo per istruire gli scolari su temi come l’alimentazione sana e il rispetto dell’ambiente, oltre che per fornire supporto alle maestre. Le difficoltà, ovviamente, non sono mancate. Innanzitutto, quella di usare il wolof, la lingua locale, aiutandosi anche con la comunicazione non verbale. Poi quella di avere un occhio critico sulla situazione e di essere capaci di dare buoni suggerimenti, mediando tra principi non negoziabili e sensibilità culturali differenti. Non si trattava di imporre la lezione dell’uomo bianco, quanto piuttosto di confrontarsi in modo costruttivo. Louga è la città senegalese con la più alta percentuale di emigrati in Italia, mi dice Chiara. Chi è rimasto sogna di raggiungere i propri fratelli, avendo negli occhi le immagini delle televisioni e nelle orecchie i racconti di chi sta facendo fortuna in Europa. Quei resoconti, però, nascondono i lati più negativi e oscuri di chi cerca di farsi una vita lontano da casa. Per cercare di cambiare la prospettiva di questi ragazzi, che si condannano a inseguire un sogno dalle tonalità spesso illusorie, l’ong CISV ha organizzato un percorso al centro culturale della città. Lo scopo era di esaltare il ruolo dello studio per realizzarsi e di far capire che è possibile migliorare il luogo dove si vive invece di aspirare a fuggirne. La stessa ragione di vita che ispira AEJT (Association des Enfants e Jeunes). La nostra interlocutrice ce ne parla con entusiasmo: giovani del posto che si impegnano a trasformare il credo kennediano, “Non chiedete cosa possa fare il paese per voi: chiedete cosa potete fare voi per il paese”, in azioni concrete. La nostra amica si è portata dietro il ricordo di uno stile di vita diverso. Maggiore lentezza, non frutto di maleducazione, ma di usi che prevedevano, prima degli orologi, di fissare gli appuntamenti in base alla posizione del sole. Le famiglie sono numerose e abitano in spazi ristretti, ma un posto per l’ospite c’è sempre. Teranga, così è chiamata la proverbiale ospitalità dei senegalesi. Il “tubab”, l’uomo bianco, quello che viene visto spesso con diffidenza, cui i bambini mendicanti chiedono sempre “l’argent”, diventa subito un membro della famiglia. Lo si accoglie, lo si saluta con deferenza, gli si offre la specialità della nazione, riso con pesce e verdure. Si mangia tutti’insieme intorno a un piatto centrale, nella cornice del cortile, fulcro della vita casalinga. Infine, si degusta un tè per terminare il pasto. Chiara rifarebbe questa esperienza e la consiglierebbe a tutti, perché non c’è nulla che apre di più la mente che il confronto con una cultura diversa, per quanto a tratti possa essere difficoltoso.

Stefano Summa

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