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Riprendiamoci il dialetto. Facciamo con forza ancora questo tentativo per non perdere tutta la sapienza e la cultura popolare che, nei secoli, ha mosso la gente delle nostre parti. In fondo dobbiamo sapere da dove veniamo, per capire dove vogliamo andare.
Allora sfruttiamo il recente concorso dialettale “A suma tucc Gajòud” (siamo tutti Gagliaudo), dedicato a due ‘”mostri sacri” della poesia dialettale nostrana come Gianni Fozzi e Sandro Locardi.
La manifestazione, giunta alla terza edizione, ha raccolto 44 componimenti in vernacolo non solo alessandrino, ma anche dei paesi limitrofi e, come molti sanno le versioni, le inflessioni, le traduzioni, spesso, non combaciano. Ma vale la pena conoscerli e leggerli.
La giurìa, qualificatissima nello specifico, ha valutato poesie e racconti ”scremando” tutti gli elaborati e riducendoli a dieci, successivamente letti in pubblico, votati e premiati.
Il concorso si è svolto in collaborazione con il “Il Piccolo”, che si è riservato la prima pubblicazione dei 4 migliori classificati, ma nel frattempo noi, che sempre abbiamo dato spazio al dialetto, vi proporremo altri elaborati che hanno partecipato al concorso Fozzi/Locardi, ovviamente con la traduzione parallela, in modo da capire, parola per parola, frase per frase, il senso della nostra storia e della nostra cultura popolare.

Raimondo Bovone

 

Na duminica a Tani

Na duminica d’istà,
el burcén d’in nostr’amìs,
con papà, mama e surela
a pasè la giurnà a Tani.

El murùs ad mé surela,
la divisa da baiét,
scuvi, stras, muciòt dla mama,
i son fora, ben smentià.

Tuc e quàtr’ans el burcén,
l’acqua ‘t Tani la sméa oli.
Con pulàster, pon e cupa
as gavuma la sgaiusa.

Papà ‘l gàva i fiasc da l’aqua
el vén fresc ‘l va sü cmé l’oli,
in bicer surela e mama,
tüt u rest al buuma noi.

El burcén ferm sut al fraschi
suma pià dal cuatacor
stravacà ‘ns el fond dla barca
a drumuma cmé doi süc.

Am a svig au son dla gaba
mé papà l’era radius
al cantava ancon mé mama
i smiavu a doi murus.

Um smiava ‘d vivi in sogn
ch’u düreisa per sent’ani
a j’avréisa mai pensà
ch’ieru j’ültim dì ‘d mé pàri.

autore ignoto

 

Una domenica a Tanaro

Una domenica d’estate,
il barchino di un nostro amico,
con papà, mamma e sorella
a passare la giornata a Tanaro.

Il moroso di mia sorella,
la divisa da soldato di leva,
scope, stracci e strofinacci della mamma,
sono fuori, ben dimenticati.

Tutti e quattro sul barchino,
l’acqua di Tanaro sembra olio.
con pollo, pane e coppa
ci leviamo la fame.

Papà leva i fiaschi dall’acqua
il vino fresco va giù come l’olio,
un bicchiere sorella e mamma,
tutto il resto lo beviamo noi.

Il barchino fermo sotto le frasche
siamo presi dal copricuore (sonnolenza)
stravaccati sul fondo della barca
dormiamo come due zucche.

Mi sveglio al suono della chitarra
mio papà era radioso
cantava con mia mamma
sembravano due fidanzati.

Mi sembrava di vivere un sogno
che durasse per cento anni
non avrei mai pensato
che erano gli ultimi giorni di mio padre.

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