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Due, diverse fra loro ma interessanti, le proposte cinematografiche di questo weekend di fine settembre: la prima è rappresentata da Madre!, l’ultimo, controverso film di Darren Aronofsky.

Dopo il parziale insuccesso, tre anni fa, di Noah, Aronofsky torna in sala con una pellicola – presentata all’ultima Mostra del Cinema di Venezia – estremamente simbolica, quasi psicoanalitica, sulla vita di Coppia e i suoi riti, abitudini, aberrazioni. Lei (la Madre, Jennifer Lawrence) ha costruito un mondo domestico protetto, ovattato, chiuso, materno ma esclusivo per Lui (Javier Bardem), la sua controparte maschile che è anche una proiezione di se stessa, artista-poeta classicamente in crisi d’ispirazione, che continua con ostinazione a non voler procreare, né sulla carta né tantomeno nella carnalità quotidiana di un rapporto sentimentale, come spesso accade, sbilanciato. A un certo punto, però, irrompe il Fuori (molto ben incarnato, nel suo mistero e insieme minaccia, tra le altre presenze, da quella che ha il corpo e il volto di Michelle Pfeiffer), l’estraneo, il barbaro, l’invasore: essenza volutamente ambigua, forse reale, forse soltanto immaginata, espressione di un Perturbante freudiano con cui dover fare i conti. Dark comedy onirica e, nello stesso tempo, materica, dal ritmo serrato e intenso, ben scritta dallo stesso Aronofsky, e girata con ottime soluzioni di regia e montaggio, Madre! è un’opera estrema, molto sopra le righe, di scandaglio dell’Uomo (eterno Ulisse sfuggente) e della Donna (eterna Penelope, a volte fagocitante). A tratti il film pare aggrovigliarsi su se stesso, oppure sfilacciarsi all’infinito nella messa in scena dell’universale diatriba tra il maschile e il femminile: ma la visione che ne scaturisce è comunque potente, mai scontata.

Norman Oppenheimer (un Richard Gere, molto misurato ma efficace) è un uomo d’affari newyorkese piuttosto ‘sui generis’: la sua affermazione personale sembra passare dal desiderio, tradotto in un vero e proprio, estenuante lavoro quotidiano, di ottenere approvazione, stima, considerazione e – di conseguenza – favori dalle alte sfere della vita politica e sociale. Un giorno, Norman incontra l’Occasione della vita, sotto le spoglie di Micha Eshel (Lior Ashkenazi), giovane e promettente uomo politico israeliano in difficoltà. Quando, anni dopo, Micha salirà alla guida del suo paese si ricorderà di Norman, chiamandolo accanto a sé per ripagarlo dell’aiuto che l’uomo gli ha prestato. Ben presto, però, Norman capirà che il senso di sè non può derivare che dal profondo di noi stessi: e si troverà di fronte a una scelta importante. Joseph Cedar, regista newyorkese di origini israeliane, firma la trasposizione cinematografica di una storia, quella del cortigiano, del faccendiere, che affonda le sue antiche radici nel mito e nella cultura ebraici, passando per il Vecchio Testamento e Shakespeare (vedi “Il mercante di Venezia”). Il film è una solida commedia, leggera ma acuta, senza troppi fronzoli, una ben costruita riflessione su destino, fama, predestinazione, autodeterminazione, significato dell’esistenza, umanità. Prevale, sul resto del cast, l’interpretazione di un Gere d’annata.

Barbara Rossi