dialessandria.it - no photo
dialessandria.it - no photo

«Il cinema è bello se riesce a leggere la realtà. Il pericolo è proprio nella fuga da questa realtà. Spesso il cinema italiano è stato accusato di essere troppo ombelicale ed era fatto da giovani cineasti che raccontavano la loro vita, una vita che non era ricca come quella di Hemingway o Jack London, per cui le storie sembravano poco originali e poco convincenti. Il cinema italiano è diventato grande quando ha saputo raccontare al mondo intero cos’era l’Italia; quella del neorealismo, quella dopo il boom con la “commedia all’italiana”. Bisogna partire da quello che si conosce meglio, da quello che sono le proprie storie. Io stesso do più importanza alla sceneggiatura che non alla regia. Jack London diceva: “L’ispirazione non viene ma va inseguita con un bastone”».

Così, nel corso di un’intervista rilasciata a Ignazio Senatore per il “Corriere del Mezzogiorno”, nel 2006, si raccontava Ettore Scola; o meglio, raccontava con la consueta pacatezza ed eleganza narrativa il suo sguardo sul cinema e sul mondo, che era indissolubilmente legato alla realtà, in tutte le sue forme.

Era nato a Trevico, in provincia di Avellino, il Maestro – che si è spento la scorsa notte all’età di ottantaquattro anni – nel 1931; aveva esordito, al pari di Fellini e di molti futuri protagonisti della cultura e del cinema italiani, come collaboratore della rivista satirica “Marc’Aurelio”, nel ruolo di vignettista.

Formatosi, come la maggior parte della sua generazione, nell’alveo del Neorealismo, aveva contribuito a delinearne le estreme propaggini, diventando – da sceneggiatore prima ancora che da regista – uno degli autori cardine di quella commedia all’italiana che tra gli inizi degli anni Sessanta e la fine dei Settanta ha resi noti in tutto il mondo la fisionomia, i vizi e le virtù del Bel Paese, in divenire eppure sempre uguale a se stesso.

Il cinema di Scola, corale, a tratti corrosivo, percorso – specie negli ultimi anni – da un umorismo sottile e malinconico, è stato anche fucina per una generazione di grandissimi attori, da Sordi e Manfredi a Gassman, da Mastroianni e Tognazzi alla Loren.

Dal film d’esordio, Se permettete parliamo di donne, nel 1964, attraverso opere rimaste nella memoria collettiva, quali – per citarne solo alcune – C’eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, Una giornata particolare, La famiglia, ha composto uno sfaccettato mosaico sociale, raccontando «la grande Storia attraverso le vite comuni», come sottolinea il critico Gianni Canova.

Il lungo viaggio nel cinema di Ettore Scola, premiato con sei David di Donatello e quattro candidature all’Oscar per il miglior film straniero, si è concluso nel 2013 con Che strano chiamarsi Federico, affettuoso, divertito e nostalgico omaggio all’amico Federico Fellini, conosciuto ai tempi del “Marc’Aurelio”.

Sfoggiando il consueto basso profilo, Scola amava dire della sua ultima opera: «Il film è un piccolo ritratto di un grande personaggio».

Parafrasando le sue parole, possiamo affermare che in questi giorni verranno schizzati tanti piccoli ritratti: di un grande regista.

Barbara Rossi

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

0 0 voti
Valutazione articolo
Subscribe
Notificami
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
0
Vorremmo sapere cosa ne pensi, scrivi un commento.x