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Coldiretti di Alessandria in occasione della tradizionale ricorrenza di San Martino traccia una prima valutazione di un’annata agraria che può riassumersi “tra luci e ombre”: a farne le spese la quantità delle produzioni, non certamente la qualità.

Parlare di bilancio è ancora presto ma resta il fatto che il clima sfavorevole di questo 2017 ha influito in maniera negativa sulle produzioni Made in Italy: dalla siccità alla grandine, gli effetti si sono fatti sentire in molti settori.

Le prime stime indicano, quindi, un’annata non particolarmente abbondante, pur se di buona qualità anche se per avere un quadro definitivo della situazione bisognerà attendere le rilevazioni relative alle rese, che cambiano notevolmente a seconda delle zone. 

Tra prodotti sottopagati e calamità naturali, a cominciare dalla perdurante siccità, sono stimabili in diversi milioni di euro le perdite e i danni per allevatori e agricoltori.

In quasi tutti i settori agricoli e zootecnici ci si ritrova spesso a produrre sotto i costi di produzione a causa di un mercato distorto che non garantisce una equa remunerazione a tutti gli attori della filiera: che si parli di latte, riso o grano purtroppo le cose non cambiano.

Le mancate piogge degli ultimi due mesi hanno compromesso gli erbai e i pascoli e tutte le produzioni da campo. Perdite che si allargheranno anche nei prossimi mesi.

“L’intero settore agricolo è tartassato, oltre che dai prodotti sottopagati, da annate da incubo: il clima è impazzito. – affermano il Presidente e il Direttore della Coldiretti di Alessandria Roberto Paravidino e Leandro Grazioli – Passiamo da un estremo all’altro, con temperature sempre fuori la media: o troppo alte o troppo basse con le piogge che sono diventate un miraggio. Le piante non possono seguire il proprio corso naturale. Le perdite sono elevate ed è difficile quantificarle, soprattutto se si aggiungono anche i danni causati dalla fauna selvatica incontrollata. Per non parlare poi delle speculazioni che avvengono nel mercato da parte di chi approfitta delle calamità per sottopagare i prodotti agli agricoltori e portarli alle stelle per il consumatore finale”.

Una cosa è certa, le eventuali precipitazioni che potranno verificarsi da qui a fine anno non potranno salvare un’annata ormai compromessa.

Il 2017 verrà ricordato come uno degli anni più caldi e siccitosi: il risultato è un’Italia a secco poiché siamo di fronte ad un cambiamento strutturale del clima con l’ultima estate che si è classificata come la quarta più siccitosa di sempre con la caduta del 41% in meno di precipitazioni, ma che conquista il posto d’onore per il caldo con una temperatura media superiore di 2,48 gradi alla media.

SETTORE CEREALICOLO

Settore cerealicolo

In chiusura di un’annata agraria particolarmente siccitosa, che al mese di Ottobre registra una differenza negativa del 39% (534 mm cumulati contro 742) rispetto allo stesso periodo della media del periodo 1971-2000 (fonte: Arpa Piemonte, 2017), la produttività delle colture cerealicole del nostro territorio è dipesa, per ovvie ragioni, dalle disponibilità idriche delle varie zone.

I primi allarmismi legati alle condizioni climatiche, sono già stati registrati nei giorni compresi tra il 18 e il 21 Aprile in molti comuni del nostro territorio, a causa di bruschi abbassamenti delle temperature che potenzialmente potevano essere causa di mancate allegagioni per la coltura dell’orzo (caratterizzato da un periodo di fioritura anticipato di almeno 10 giorni rispetto agli scorsi anni, in seguito a favorevoli condizioni metereologiche e temperature oltre la media stagionale nel periodo compreso tra metà di Marzo e la prima metà di Aprile) e alla sopravvivenza dei mais seminati in prima epoca che in quel periodo si trovavano ai primissimi stadi di sviluppo (2-3 foglie). Fortunatamente tali gelate tardive, sebbene abbiano causato considerevoli danni ad altre colture, in particolare fruttifere, non hanno compromesso le allegagioni degli orzi ed hanno rallentato la crescita del frumento ma senza causare apparenti danni quanti/qualitativi sulla granelle. Per quanto riguarda i mais si sono verificati temporanei arrossamenti delle plantule, sintomo di incapacità delle stesse ad assorbire il Fosforo per effetto delle basse temperature, esponendole in parte ad attacco di elateridi e nottue, ampliamente controllati nei casi in cui sia stata adottata un’efficace e preventiva agrotecnica (utilizzo di geodisinfestanti e trattamenti tempestivi e mirati in caso di presenza accertata del parassita).

Nell’ambito dei cereali autunno-vernini, per quanto riguarda il frumento, l’ago della bilancia è andato nettamente a favore delle zone che hanno avuto la possibilità di irrigare la coltura entro il mese di maggio. In tali zone, il fatto di riuscire a soddisfarne il fabbisogno idrico, le temperature favorevoli, l’assenza di precipitazioni ed umidità vettori di patologie fungine, il tutto accompagnato da un’ormai assodata agrotecnica, hanno permesso di raggiungere dei livelli produttivi mai registrati, che, in alcune zone, sono stati superiori alle 9 t/ha.

Nelle zone asciutte, invece, i livelli produttivi sono stati ampiamente penalizzati, inferiori anche del 30% rispetto ai valori di un’annata media. Dal punto di vista qualitativo, i dati forniti dal Consorzio Agrario delle provincie del Nord Ovest derivanti dai campioni prelevati nell’ambito dei conferimenti dei prodotti in filiera, hanno mostrato come, tanto per le zone irrigue quanto per quelle asciutte, i valori delle analisi alveografiche effettuate sulle farine abbiano raggiunto dei livelli ampiamente soddisfacenti e in grado di soddisfare le esigenze dei molini (W elevato per i grani di forza, buon contenuto proteico, P/L contenuto). Questo fatto è indice di come la qualità dei grani sia stata molto più condizionata dall’andamento delle condizioni metereologiche che non dallo sviluppo della coltura in termini produttivi. La carenza di acqua nelle fasi finali di crescita e maturazione del frumento, infatti, sembrerebbe aver giocato un ruolo determinante nella diminuzione delle rese ma, allo stesso tempo, non risulterebbe aver ostacolato il raggiungimento dei requisiti qualitativi richiesti dal mercato.

La coltura dell’orzo ha risentito molto meno, in tutta la provincia, della carenza idrica, registrando lievi differenze tra le aziende che hanno provveduto all’irrigazione e quelle che invece non hanno avuto la possibilità di effettuarla.

Problema serio riguardo alle colture vernine, risulta attualmente essere quello delle semine. Il perdurare dell’assenza di precipitazioni, soprattutto in aree non irrigue, sta attualmente costringendo molti operatori a non procedere con le semine, in primis per difficoltà fisiche nelle lavorazioni meccaniche dei suoli e, secondo ma non meno importante, per la seria possibilità che la nascita ottimale delle colture non garantisca un raccolto soddisfacente.

La coltura del mais, al pari del frumento, ha raggiunto livelli produttivi estremamente diversi a seconda della possibilità delle varie zone di sostenerne il fabbisogno idrico. Aree più o meno vocate, ma in cui non è mancata la risorsa acqua per l’intero ciclo produttivo, hanno raggiunto livelli produttivi di poco inferiori o in alcuni casi del tutto paragonabili a quelli degli scorsi anni (11-17 t/ha di granella secca a seconda delle zone). Zone meno vocate, oppure altrettanto vocate ma con problemi di approvvigionamento idrico già a partire dalla fine di luglio, hanno raggiunto livelli produttivi estremamente bassi, tanto da non consentire il sostentamento economico della coltura (7-8 t/ha di granella secca). Sebbene queste ultime zone risultino essere maggiormente a rischio Aflatossine per il fatto che la pianta è stata sottoposta ad uno stress prolungato, non si hanno al momento segnalazioni di contaminazioni importanti in provincia (questo è dovuto anche al fatto che i mais che hanno sofferto la siccità sono spesso stati re-impiegati in azienda a fini zootecnici oppure venduti per la produzione di silomais destinato ai biodigestori).

Le calde temperature di tutto il mese di agosto, hanno in parte compromesso l’allegagione degli apici fiorali delle colture di soia e soprattutto grano saraceno. La possibilità di irrigare ha comunque permesso di raggiungere livelli produttivi soddisfacenti (oltre le 3.5 t/ha per la soia e oltre le 2 t/ha per il grano saraceno). In zone asciutte, invece, la soia non è riuscita a raggiungere produzioni unitarie adeguate (inferiori a 1.5 t/ha); nel caso invece di molti appezzamenti a grano saraceno in asciutto, le aziende hanno addirittura scelto di non procedere con la raccolta, a causa di non nascita della coltura e costi di raccolta non sostenibili. Queste due colture godono comunque, al momento, di prezzi remunerativi sul mercato (355-360 €/t la soia, 500 €/t il saraceno).

Produzione, q/ha
2014 2015 2016 2017
Frumento tenero 53,7 56,5 55,0 59,8
Frumento duro 39,7 50,0 40,0 51,4
Orzo 52,0 56,9 58,0 57,8
Mais 101,2 94,9 110,0 106,3
Soia 25,4 22,0 25,5 28,7

Produzioni unitarie medie delle principali colture cerealicole in provincia (fonte: AgriIstat).

Seri problemi sono stati rilevati sulle colture foraggere, sia in termini produttivi che per quanto riguarda la panoramica dei prezzi di mercato. Le gelate tardive di Aprile hanno fortemente penalizzato le produzioni di maggengo dei prati stabili, avvicendati e, seppur in misura minore, di loietto. La successiva siccità non ha consentito di procedere con i successivi sfalci e il perdurare della carenza idrica non ha permesso la semina di loietto o, nei casi di semina avvenuta, una nascita ottimale della coltura. Il prezzo del foraggio ha raggiunto livelli storici, da 180 €/t per il fieno di prato stabile a 220 €/t per quello di erba medica.

SETTORE VITIVINICOLO

In ambito provinciale la vendemmia appena conclusa è da ritenersi una delle più scarse degli ultimi anni, con una riduzione produttiva che va dal 15 al 20%.

La causa di questo calo è da ricercasi nelle gelate di fine aprile e nella siccità che ne è seguita.

Non si può individuare una zona più colpita, in quanto la gelata non è stata uniforme sul territorio, ma ha colpito a macchia di leopardo.

Nello stesso modo anche la siccità ha avuto ripercussioni maggiori sui terreni più esposti e asciutti, mentre su terreni più freschi le produzioni ne hanno risentito ma in misura minore.

In sintesi abbiamo avuto vigneti con danni anche superiori al 50% per arrivare sino alla mancata produzione per quelli più colpiti dal gelo.

Nei vigneti più produttivi non si hanno avuto “superi di produzione” sulle uve a Doc, per cui la produzione dei vini generici (vini da tavola) può considerarsi molto ridotta.

Una caratteristica della vendemmia di quest’anno è stato il forte anticipo rispetto agli altri anni: infatti, le uve per base spumante hanno chiuso la raccolta entro ferragosto in quasi tutte le aree.Sempre entro il mese di agosto sono state raccolte quasi tutti le uve Sauvignon bianco e Chardonnay. A fine agosto ha avuto inizio la vendemmia del Gavi, quella degli aromatici e, ai primi di settembre, è iniziata invece la raccolta delle uve rosse.

La qualità dei vini presenta una marcata variabilità, con una forbice che va da una qualità media a punte di eccellenza con gradazione zuccherina medio alta e bassa acidità.

SETTORE FRUTTICOLO

Nel corso del 2017 la produzione frutticola in Piemonte è stata pesantemente condizionata dalle gelate che hanno colpito l’intero territorio della nostra regione, dal 18 al 21 aprile, producendo danni sia quantitativi, che qualitativi, a tutte le coltivazioni in atto. Soprattutto nella mattina del 18 aprile, la dinamica particolare della gelata, caratterizzata dalla presenza di vento forte, ha impedito quasi ovunque l’utilizzo dei sistemi anti brina, che in qualche modo avrebbero potuto limitare il danno Dopo un inverno e una prima fase della primavera abbastanza miti e poco piovosi, il clima secco ed il vento, hanno provocato un brusco abbassamento delle temperature, provocando danni alle piante da frutto, che ad eccezione del kiwi, si trovavano già nella fase di post fioritura. La piovosità particolarmente bassa, soprattutto nel periodo estivo, ha favorito la difesa fitosanitaria dalle specie fungine, mentre al contrario ha reso più aggressivi alcuni insetti, in particolare lepidotteri carpofagi e le cimici che nel corso del 2016 e del 2017, hanno colonizzato tutto il territorio della nostra regione. Per quanto riguarda il kiwi, nonostante l’inverno particolarmente mite, la batteriosi del kiwi (PSA- Pseudomonas syringae pv. Actinidiae) ha fatto registrare in primavera una notevole recrudescenza, soprattutto nelle zone colpite dalla grandine nel 2016, ma non solo. Al contrario delle annate precedenti l’allegazione naturale dei frutti non è stata favorita dal clima secco e ha contribuito ad abbassare la produzione, già pesantemente compromessa dal gelo. Per quanto riguarda la cosiddetta “frutta estiva”, la produzione italiana è stata in linea con la campagna precedente, mentre in Piemonte, le zone maggiormente esposte alle gelate, hanno avuto un notevole ridimensionamento produttivo e nonostante il clima caldo in tutta Europa, che avrebbe dovuto far aumentare il consumo, il mercato è stato particolarmente difficile fino alla fine del mese di Agosto. Per le mele si registra, sia a livello piemontese, che italiano, che a livello europeo, un notevole ridimensionamento produttivo rispetto al 2016, causato dal freddo. Le pere hanno subito meno danni rispetto alle mele e in Piemonte, l’entrata in produzione dei nuovi impianti, ha permesso di mantenere la produzione su livelli simili al 2016. In Piemonte la maggior parte della partite viene ceduta dai produttori con il cosiddetto sistema del “conferimento”, e per questo, le quotazioni effettive saranno note solo alla fine della campagna di commercializzazione. In ogni caso, con i dati finora disponibili, passiamo di seguito a descrivere l’andamento delle singole specie frutticole nella nostra regione.

Per il ciliegio, la produttività e la qualità della produzione, sono state quasi ovunque in linea con l’annata precedente e va’ registrato un aumento della coltivazione. Nonostante la buona qualità delle singole partite, le quotazioni sono state ovunque inferiori a quelle del 2016. In alcuni ceraseti o porzioni degli stessi, la presenza della cosiddetta “cimice asiatica”, ha completamente distrutto la produzione.

La necessità di sostituire gli impianti di kiwi, colpiti dalla PSA, ha fatto si che diverse imprese stiano tornate ad investire sull’albicocco, portando ad un ulteriore aumento degli ettari coltivati, soprattutto per quanto riguarda le varietà più tardive. La produzione, anche se ridotta dalle gelate, è stata ovunque di buona qualità, ma il mercato, sia per il mercato fresco, che per la destinazione industriale è stato sempre difficile, con quotazioni ben più basse delle aspettative.

Le cosiddette “susine damaschine”, pur con le dovute differenze da zona a zona, hanno registrato un carico produttivo molto simile all’annata precedente. La domanda e le quotazioni, sono state in linea con quelle del 2016. Le altre varietà di susine a produzione estiva hanno invece registrato produzioni e quotazioni in calo rispetto alla stagione precedente; ad eccezione delle vecchie varietà locali (Ramassim, Damaschin e Santa Clara), e di alcune varietà di nicchia, le varietà a maturazione estiva, hanno risentito del mercato pesante di tutto il resto della frutta estiva . Ancora in notevole aumento invece, gli ettari coltivati con susine della varietà Angeleno. I nuovi impianti entrati in produzione, hanno fatto si che la produzione sia stata in leggero aumento rispetto al 2016. La qualità mercantile dei frutti è molto variabile da partita a partita, ma in generale superiore a quella del 2016 e la campagna di commercializzazione, ancora in corso, ha finora premiato solo le pezzature più grandi ed i frutti perfettamente colorati. Pur con le difficoltà di mercato provocate dallo sfavorevole cambio tra euro e dollaro, fino ad oggi le quotazioni sono state soddisfacenti.

Per quanto riguarda il comparto pesche e pesche noci il 2017 è stato caratterizzato dal bel tempo, sia in Piemonte che nel resto dell’Europa e almeno inizialmente, si pensava che ciò avrebbe favorito un maggiore consumo e quotazioni interessanti. La produzione piemontese ha subito una contrazione per via della gelata, mentre la produzione italiana ed europea, sono state sostanzialmente invariate rispetto al 2016. Nonostante l’andamento climatico favorevole, si registra ancora una volta a fine stagione, un calo delle quotazioni, sintomatico della elevata debolezza strutturale della filiera produttiva nei confronti delle grandi catene di vendita europee. Le quotazioni del prodotto destinato alla trasformazione industriale (fatte salva la coltivazione destinata), sono stati ancora una volta molto bassi e quasi sempre ceduti a quotazioni irrisorie e ben al di sotto dei costi necessari per la sola raccolta e il trasporto. Le aree e le aziende piemontesi, che per tradizione si dedicano alla produzione di pesche da destinare al mercato locale, purché meno rappresentative in termini numerici, continuano invece a ottenere mediamente una buona rimuneratività. Soprattutto per le pesche e le nettarine, la problematica è di tipo strutturale e a fare le spese di questa situazione, è solo il mondo della produzione; per questi motivi, è necessario che tutti gli operatori del comparto provino assieme a trovare una soluzione, alle annose problematiche che attanagliano la produzione Italiana e piemontese.

La campagna di raccolta delle mele è ormai quasi concluso e va segnalato, in Piemonte, un notevole calo produttivo rispetto al 2016. La produzione europea, così come previsto, si sta confermando in netta diminuzione(circa -20%), rispetto alla campagna precedente, con valori complessivi, quantificabili in poco meno di 9 milioni di tonnellate. Fin dalle prime battute la campagna di commercializzazione, ha fatto registrare un buon andamento delle quotazioni e ciò ha finora rallentato le vendite e i de cumuli. Le mele estive del gruppo Gala, sono sempre più apprezzate sui mercati di tutto il mondo. Mediamente su tutte le varietà, a causa del freddo, c’è da registrare una leggera diminuzione del calibro medio delle partite, meno evidente sulle varietà di più recente introduzione e sugli impianti più giovani. Contrariamente alla frutta estiva, il prezzo del prodotto destinato alla trasformazione industriale ha registrato un buon aumento e la richiesta è tuttora elevata.

Per quanto riguarda le pere la produzione piemontese, grazie all’entrata in produzione dei nuovi impianti, rimane stazionaria, mentre in Italia e in Europa si registra una leggera diminuzione. In Piemonte la varietà William la produzione è aumentata di pochi punti percentuali, con quotazioni in aumento, sia per il prodotto destinato all’industria di trasformazione, che per la percentuale destinata al mercato del “fresco”;le varietà Abate Fetel, e Conference registrano invece un discreto calo produttivo; anche per queste varietà, pur essendo il mercato ancora nelle fasi iniziali, si registra un aumento delle quotazioni rispetto alla passata stagione, sia per il prodotto destinato al mercato del fresco, sia per quello destinato alla trasformazione industriale.

Per il kiwi la produzione piemontese dovrebbe attestarsi sui quantitativi decisamente inferiori rispetto alla passata stagione (-40%) e lo stesso avviene in Veneto, mentre nel resto d’Italia il calo più contenuto mentre nel complesso nell’Emisfero Nord dovrebbe diminuire di almeno il 20% rispetto al 2016 fonte IKO). In Piemonte, a compensare le perdite causate dalla grandine hanno contribuito i nuovi impianti e l’ottima performance produttiva delle altre aree di produzione. Anche in Piemonte, molte partite sono state cedute con prezzo “minimo garantito” o con prezzo definito, e le quotazioni sono state decisamente superiori a quelle della campagna precedente. La carenza generale di offerta ha favorito un discreto avvio della campagna di commercializzazione e ciò fa prevedere un buona prosecuzione della stessa.

Nel complesso l’annata 2017 sarà ricordata per il caldo estivo e per la gelata primaverile, nonché per la pesante recrudescenza di diverse fitopatie. Anche gli aumenti delle quotazioni, laddove presenti, non sono sufficienti a compensare le perdite produttive in tutte le aziende. Oltre a ciò permane, soprattutto sul mercato europeo, una pesante problematica di tipo strutturale tra la filiera produttiva e quella distributiva, che mina alla base le possibilità di crescita del comparto in Piemonte, in Italia, ma anche nel resto del vecchio continente. 

SETTORE RISICOLO

Sono praticamente terminate le operazioni di raccolta del riso in tutte le province piemontesi. L’annata complessivamente è da considerarsi buona sia come produzioni ottenute, sia come resa alla lavorazione, tranne che per alcune varietà da interno che hanno avuto rese, causa l’eccessiva temperatura registrata, inferiori alla media. Il riso lavorato presenta macchie di vaiolato inferiori alla media e, soprattutto, la produzione 2017 si caratterizzerà per una campagna totalmente assente dalla presenza di malattie fungine, quali il brusone o l’helmintosporiosi del riso. Anche quest’anno abbiamo dovuto convivere con una abbondante presenza di erbe infestanti resistenti, soprattutto giavoni, sfuggite ai trattamenti specifici, grazie anche alle resistenze che nel tempo queste hanno manifestato, e grazie ai pochi diserbanti ora utilizzabili. Il problema però per la risicoltura Italiana, ormai, non è più la produzione ottenibile che quest’anno si stima sui 14 milioni di quintali ma è il mercato.

Stiamo vivendo ormai dallo scorso inverno una situazione di mercato che si è via via incancrenita, tale che i prezzi di vendita non sono più in grado di coprire i costi di produzione: per il gruppo degli indica oggi si aggirano sui 24-26 €/q.le; il gruppo dei tondi sui 20-23 €/qle; il gruppo dei lunghi A sui 24-28 €/qle. Alcune varietà di lunghi A (rare e poco presenti) spuntano prezzi sui 30-35 €/qle; i superfini tipo Carnaroli, Baldo sono sui 30-35 €/qle. La situazione, se non cambia velocemente, può diventare drammatica, se consideriamo i costi di produzione che la risicoltura impone. Tutto questo potrebbe determinare nel 2018 una forte riduzione di superficie investita a riso in Italia, specialmente in aree geografiche dove la risaia si era “allargata” negli ultimi decenni, come la Lomellina (Pavia), Lodigiano (Lodi), Casalese (Alessandria), ed aree marginali del Vercellese e Biellese. Superfici che verosimilmente verranno riconvertite essenzialmente a mais. Ricordo che rispetto ai 235.000 ettari circa di oggi, nel periodo a cavallo degli anni ’80 – ‘90 la risaia Italiana era di 180.000-190.000 ettari circa.

Inoltre si stima che riporteremo circa 1.500.000 (un milione e mezzo) di quintali di prodotto 2016 ancora invenduto, a cui si somma circa un altro milione di quintali, sempre di produzione 2016, che l’industria ha acquistato la scorsa estate a prezzi stracciati, ma che si trova ancora nei magazzini degli agricoltori.

Le cause che hanno portato a questa grave crisi sono complesse e molteplici, non ultima una continua e forte importazione a dazio zero, di prodotto proveniente dai PMA del Sud-Est Asiatico (vedi argomento specifico al punto succesivo), tali da rendere il mercato europeo saturo di prodotto, nonostante l’Europa sia decisamente deficitaria in fatto di produzione di riso. Prodotto che arriva in Europa a costi per noi impossibili, ma con dubbia qualità organolettica e sopratutto con il rischio, molto probabile, di essere inquinato da pesticidi che in Europa sono vietati da decenni.

SETTORE CORILICOLO

La campagna di commercializzazione 2016/2017 ha visto un mercato relativamente diverso dalle precedenti annate produttive; la maggior quantità è stata venduta entro il mese di luglio ma ancora oggi vi sono partite che vengono commercializzate e come da disciplinare IGP sarà possibile fino al 31/12 dell’ anno successivo alla produzione senza che venga meno la certificazione IGP.

Da evidenziare il crescente interesse e richiesta di nocciole marchiate IGP: secondo i dati diffusi dal Consorzio Tutela Nocciola Piemonte, con ancora attiva la commercializzazione per la campagna 2016/2017, ne sono state commercializzate a oggi 100.008 quintali (nel 2015/2016 erano 48.800 quintali). Un aumento che conferma il crescente interesse da parte del mercato, e un numero sempre più ampio di produttori (ad oggi 1.600) che aderiscono al sistema di certificazione Nocciola Piemonte IGP.

Le quotazioni per l’annata in esame a differenza delle annate precedenti hanno avuto un avvio di mercato abbastanza vivace con quotazioni superiori ai 9,00 €/punto resa pari a 420 – 430 €/quintale. Successivamente le quotazioni di settimana in settimana hanno iniziato una tendenza al ribasso arrivando a fine mercato per il fermo delle ferie con quotazioni pari a 310 – 320 €/quintale pari a 6,70 – 6,80 €/punto resa.

Da evidenziare rispetto ad annate precedenti il fatto che, a fronte della minor produzione dell’annata 2017 ed anche in relazione alla sua qualità, le nocciole prodotte nel 2016 hanno ripreso quotazione con la riapertura del mercato del nuovo prodotto, collocandosi a 20 – 30 € in meno a quintale rispetto al nuovo raccolto, arrivando nuovamente a quotazioni di 360 – 370 €/quintale.

La produzione per il raccolto dell’annata 2017 è stimato in 700.000 tonnellate in Turchia e di circa 90.000 tonnellate in Italia, rispettivamente il primo e il secondo produttore mondiale.

A livello nazionale il Piemonte, per quest’annata, è la regione che fa segnare il maggior decremento di produzione, stimato in un calo del 40-50%. Anche Nelle altre principali regioni italiane, Lazio e Campania in primis, dalle prime indiscrezioni, le produzioni dovrebbero essere inferiori ai quantitativi della scorsa annata, sempre per motivi legati a fattori climatici.

In Piemonte la campagna di raccolta 2017 è iniziata, pur con un decorso estivo anomalo, in anticipo di una quindicina di giorni rispetto a quanto avvenuto nelle ultime annate. Avviata verso il 10 di agosto, la raccolta si è conclusa nella prima decade di settembre. A livello piemontese la produzione dovrebbe oscillare tra le 9.000 e le 11.000 tonnellate, mentre la superficie complessiva investita è di circa 20.000 ettari. La nostra regione si conferma la terza area produttiva a livello italiano, raggiungendo circa il 16-18% della produzione nazionale. La provincia di Cuneo, con circa 60-70.000 quintali e una superficie investita a noccioleto 14.000 ettari, continua ad essere la principale area produttiva del Piemonte.

Dal punto di vista qualitativo la produzione si è mantenuta generalmente su livelli discretamente buoni, con,una buona resa alla sgusciatura, in linea con la media degli ultimi anni per la zona alta. Si sono invece riscontrate diverse problematiche di carattere sanitario, in particolare per quanto riguarda le percentuali di umidità e purtroppo di forte presenza di cimiciato per le produzioni provenenti da areali con altitudini inferiori.

In generale il mercato, sin dalle prime battute, è stato caratterizzato subito da prezzi non molto elevati rispetto alle aspettative dei produttori. L’inizio della nuova campagna di commercializzazione ha confermato quotazioni inferiori a quella precedente: dopo primo avvio a 3,30 – 3,50 €/kg in guscio (7,00 – 7.30 €/punto resa), per il prodotto certificato “Nocciola Piemonte IGP”, successivamente il mercato, da inizio ottobre, ha subito una svolta al rialzo, sia nella richiesta di prodotto che nel prezzo. Ora la produzione 2017 si attesta sui 9,00 €/punto resa e sui 400 – 410 €/quintale per le nocciole che si fregiano dell’ IGP ed hanno un cimiciato inferiore al 3%; per le produzioni che non rispettano questo parametro le quotazioni sono decisamente inferiori e la trattativa riguarda ogni singola partita.

SETTORE ORTAGGI E PICCOLI FRUTTI

Per il comparto orticolo il 2016 è stata un’annata caratterizzata da criticità produttive un po’ su tutte le referenze, legate sia ad andamenti climatici anomali che relative a problematiche fitosanitarie.

Il fagiolo da raccolta cerosa dei baccelli (fagiolo fresco) le produzioni sono state inferiori alle aspettative a causa del clima molto caldo e in molte zone per la mancanza di acqua per le irrigazioni. Nel complesso prodotto sano, prezzi alti, intorno ai 2 euro al kg.

Per il fagiolo da granella secca. Per le produzione del secco Billò e Lamon produzioni leggermente inferiori alla media con buoni prezzi a inizio stagione (fino a 3 €) e deciso ribasso nella seconda parte della campagna Buona annata per quanto riguarda la coltivazione di fagiolo nano produzioni medio basse a causa del clima caldo, prezzi medio alti. In discesa però da ottobre in avanti

Annata abbastanza altalenante per la produzione di pomodori da mensa, con la varietà cuore di bue che hanno sofferto le temperature estive e in molti casi la qualità non era di quella ottimale. Prezzi comunque nella media e prezzi molto interessanti da fine estate in avanti in alcuni casi da causate da problematiche di natura fitosanitaria (vedi tuta absoluta). Dal 15 agosto anche 2€/kg e 1,5 tutt’oggi.

Per il peperone i prezzi hanno premiato le produzioni con quotazioni delle tipologie quadrate tipo “Cuneo” e “Carmagnola” a 1,60-1,20 €/kg e per la tipologia “mezzo lungo” tra 0,80 e 1,10 €/kg.

Si conferma un mercato stabile quello delle zucchine, produzioni nella media, prezzi bassi durante l’state e decisamente interessanti dopo il 15 di agosto.

Un’annata per le insalate caratterizzata dalle ormai basse quotazioni che vanno da 0,50 a 0,90 €/kg, situazione che ormai dura da alcuni anni e che in alcuni casi non sono più sostenibili nella produzione.

La produzione di ortaggi autunnali (cavoli, cavolfiori e broccoli) non sono stati certamente favoriti dal clima autunnale eccezionalmente caldo, ma la domanda è stata positiva e ha consentito del prezzi interessanti( 0,8 – 1,2 €/kg) stabilizzandosi adesso sulla media di 0,6 0,8 €/kg.

Per la fragola unifera resa inferiore delle produzioni a causa delle gelate, anche fino al 40%, con una buona remunerazione in quanto le raccolte non si sono mai concentrate eccessivamente, spuntando prezzi quasi sempre al di sopra dei 2,5 €/kg in alcune aree vocate come il Roero e il Cuneese e addirittura a 3 €/kg nelle zone più tardive fragola rifiorente i prezzi hanno avuto un andamento con quotazioni attorno ai 2,5-3 €/kg, produzioni buone.

Per il mirtillo l’annata è stata caratterizzata cali produttivi a causa delle gelate nel periodo di fioritura. Raccolte di ottima qualità senza problematiche di drosophila nelle cultivar precoci, con prezzi molto interessanti sui 4 ma anche di 5 €/kg.

SETTORE PATATICOLO

In linea generale la stagione pataticola 2017 in Italia è caratterizzata da un andamento abbastanza complesso, con una sensibile diminuzione delle rese produttive provocate da un inverno anomalo e da un’estate torrida. La stagione scorsa invece la produzione era stata di oltre 23mila tonnellate. Alla contrazione attuale però, come dovrebbe essere normalmente, non è corrisposta una sensibile aumento dei prezzi, per un prodotto non regolamentato da un contratto di fornitura, provocata dal netto aumento delle semine e dalla sovrapposizione delle produzioni pataticole delle diverse Regioni. Nella seduta della Borsa patate del 29 settembre 2017, la Commissione Paritetica, che opera nell’ambito del Contratto quadro per la cessione delle patate da consumo fresco applicato in Emilia Romagna – prima regione produttrice e riferimento nazionale – aveva deciso di rinviare la definizione del prezzo di riferimento per il prodotto consegnato in conto deposito. Ciò in attesa di comprendere l’evoluzione del mercato. L’azione – parzialmente in deroga con quanto previsto dal Contratto quadro e che prevede che si possa rivedere il prezzo di riferimento fino al 15 dicembre, conferma come si tratta di una campagna complessa andamenti di mercato particolari. Nella riunione del 21 luglio 2017, la medesima Commissione paritetica di Borsa patate di Bologna aveva comunque già fissato in 0,65 euro al chilo il prezzo di riferimento per le patate confezionate in sacchi da 2,5, 2 e 1,5 chili. Elemento determinante per il prosieguo della campagna sarà certamente la produzione dei principali paesi del Nord Europa(Belgio, Germania, Francia, Paesi Bassi e Gran Bretagna), dove quest’anno si stima una produzione totale di 27,9 milioni di tonnellate. L’areale è aumentato del 4,6% rispetto allo scorso anno, mentre il rendimento medio per ettaro è stimato a 48,2 tonnellate/ha. Un 2,9% in più rispetto alla media degli ultimi 5 anni. Quest’anno la produzione totale di patate è aumentata dell’11,5% rispetto alla media dei 5 anni e del 13,5% in più rispetto al totale dello scorso anno, ma ancora al di sotto del raccolto record del 2014 di 28,5 milioni di tonnellate.

Occorre perciò ripensare il tipo di risicoltura che si vuole fare, nei modi e nelle regole; diversamente bisognerà solo sperare in un cambiamento repentino del mercato temo – poco probabile – a meno che una serie di fattori e contingenze portino a modificare l’attuale andamento.

SETTORE POMODORO DA INDUSTRIA

A marzo é stato siglato a Parma il nuovo Accordo quadro sul pomodoro per il Nord Italia che agricoltori e industria di trasformazione. L’intesa aveva stabilito un leggero calo delle quantità contrattate, con pesanti penalità per chi supera il tetto, e un capitolato ad hoc per il prodotto biologico. La fascia di neutralità produttiva concordata è stata di 2,4-2,5 milioni di tonnellate (nel 2016 era di 2,35-2,55 milioni). Le quantità di pomodoro contrattato saranno invece pari a 1,7 milioni di tonnellate: poco meno dell’anno scorso.

Il prezzo di riferimento concordato è stato di 79,75 euro a tonnellata, in ribasso (-6%) rispetto a quello della scorsa campagna di 85,20 il quale a fine campagna 2016 (dopo l’applicazione della tabella qualitativa), era stato di 82,95 euro a tonnellata.

La campagna 2017 si é contraddistinto per un ritmo molto sostenuto negli stabilimenti di trasformazione visto che le elevate temperature estive hanno accelerato la maturazione del prodotto. Le rese in campo sono buone, nonostante i deficit idrici di alcune aree, mentre le rese in stabilimento sono al di sotto delle aspettative per cui è necessario un maggior quantitativo di materia prima per realizzare i prodotti trasformati. Nel complesso sono 36.707 gli ettari di superfici effettive coltivate a pomodoro per il 2017, in calo del 7,5% rispetto al valore dello scorso anno e in diminuzione del 2,5% rispetto a quanto contrattato ad inizio campagna. Buono il dato della produzione biologica che conferma il proprio trend di crescita: il bio rappresenta il 6,6% delle superfici effettive delle OP associate, superfici che passano dai 1.316 ettari di due anni fa agli attuali 2.310. L’Emilia Romagna si conferma la regione con la quota più consistente di superfici coltivate a pomodoro da industria pari a 24.866 ettari, seguita da Lombardia (7.494), Veneto (2.121) e Piemonte (2.029). La ripartizione nelle principali province contraddistinte dalla presenza della coltivazione del pomodoro da industria indica Piacenza con 10.003 ettari; Ferrara con 6.177; quindi Parma (4.666); Mantova (3.963); Cremona (2.102); Ravenna (1.929); Alessandria (1.821); Reggio Emilia (993); Rovigo (895); Verona (780) e Modena: (729 ettari). Seguono altre province con valori più contenuti.

Andando nello specifico ad analizzare la campagna in Piemonte la principale area di coltivazione è l’Alessandrino, con una superficie complessiva di quasi 2000 ettari (1.821), e i restanti 200 ettari in provincia di Cuneo. La superficie è rimasta pressoché invariata negli ultimi anni, evidenziando un leggera crescita a fronte anche di prezzi non particolarmente remunerativi, complice soprattutto la scarsa redditività delle principale produzioni cerealicole, mais in primis. La produzione è stata complessivamente medio/buona, con qualità buona e caratterizzata da un prodotto senza particolari criticità dal punto di vista fitopatologico. Si è tuttavia riscontrato una diminuzione dei gradi brix, calo generalizzato in tutto il Nord Italia.

Anche qui l’elemento determinante è stato l’irrigazione e le rese ad ettaro sono state mediamente di circa 800 quintali.