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L’illustre giornalista de “La Stampa”  non vuole gloria ma attenzione per un dramma umano dalle dimensioni apocalittiche: una tragedia per 20.000.000 di siriani

“I giornalisti non sono riusciti a raccontare e a suscitare reazioni su quanto è accaduto”, il rammarico di un grande professionista

Nonostante una carriera giornalistica illustre e piena di peripezie, Domenico Quirico è tutto tranne che un vip. Non lo è nel suo modo di fare, non lo è nelle parole che usa, non lo è nei racconti che fa. Nel corso della conferenza tenutasi all’ACSAL di Alessandria il 15 ottobre sulla sua esperienza di prigionia in Siria e sul libro “Collera e luce” di Padre Paolo Dall’Oglio (ancora sotto sequestro in quelle terre), il giornalista de “La Stampa” ha costantemente ammonito il pubblico a ignorare la sua vicenda, “una piccolissima storia personale”, per focalizzarsi sulla “tragedia più grande”, quella che “coinvolge quotidianamente 20.000.000 di siriani”. Una guerra civile da 120.000 morti “per la maggior parte civili” li ha gettati in una condizione tremenda, dove regnano “la quotidianità del dolore” e “l’ovvietà della sofferenza”. La Siria è diventata “il paese del Male, dove la pietà non è più possibile, a costo della propria mancata sopravvivenza”.
Quirico non è indulgente con se stesso, la sua categoria e gli occidentali in genere, anzi. Egli dichiara “la nostra incapacità di trasformare l’esperienza in coscienza”. “I giornalisti non sono riusciti a raccontare e a suscitare reazioni su quanto è accaduto”. Denuncia il grosso errore dell’Occidente, che ha ignorato le istanze della prima rivoluzione siriana, fatta di “giovani che chiedevano un paese diverso da quello dei nonni e dei padri”, e ha consegnato il paese al “jihadismo”, che persegue il progetto politico di riformazione del “califfato islamico del VI secolo (massimo momento di espansione dell’islam)”, per paura di incrociarsi con la Russia. Non esita a dire che “abbiamo chiuso gli occhi rinunciando a vedere”, proprio com’è accaduto in Rwanda.
In Siria c’è qualcuno che ha provato a trovare una soluzione, a offrire uno spiraglio di stabilità a questo Paese martoriato dalle sue divisioni interne. Tra questi spicca Padre Paolo Dall’Oglio, “monaco e rivoluzionario” secondo Pietro Sacchi di ICS Onlus (organizzatrice dell’incontro con l’Associazione Cultura e Sviluppo). In “Collera e pace”, Dall’Oglio cerca di raccontare la crisi siriana affrontandone i molteplici piani di lettura (la guerra civile, le divisioni interne ai ribelli, la questione del Kurdistan, ecc.). Sacchi e Don Mario Bandera di Novara Missio lo ricordano come un uomo determinato a favorire la nascita di un sistema federale all’interno del paese, il solo in grado di tenere insieme così tante spinte contrastanti l’una con l’altra, e l’unità dei cristiani, divisi in 15 confessioni e disposti a spararsi addosso in nome della fedeltà ad Assad o alla causa degli insorti.

Stefano Summa

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