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Impossibile scegliere tra lavoro e salute. “Meglio non pensare”. 2000 i dipendenti  futuri prossimi disoccupati.

I sindacati locali avvertono: la ripercussione sull’indotto sarà inevitabile.  Non può essere una lotta tra potere esecutivo e potere giudiziario. Troppi anni senza un piano industriale per il Paese.

L’Ilva rappresenta una delle maggiori aziende di produzione e trasformazione dell’acciaio.
I suoi stabilimenti disposti sul territorio Italiano sono a Taranto, Genova, Racconigi, Marghera, Patrica e Novi Ligure. Con l’istituzione dell’IRI (istituto per la ricostruzione industriale), la società passò sotto controllo pubblico, arrivando negli anni ‘60 ad essere uno tra i maggiori gruppi dell’industria statale.

Viene poi rilevata dal gruppo Riva nel 1995. Per l’impatto che avevano sulla salute le cokerie di Genova sono state chiuse nei primi anni del 2000.
A Taranto i problemi iniziano nel 2008, quando in Puglia viene approvata una legge regionale contro le diossine, imponendo limiti alle emissioni industriali da aprile del 2009.

Nel 2012 il tribunale di Taranto emette un provvedimento di sequestro degli impianti a caldo in quanto ancora non rispettanti la normativa.
Ciò che si temeva è avvenuto: l’ultima sirena ha fischiato decretando la chiusura.

Il Gip ha detto “no” al dissequestro e l’emendamento del Governo non è bastato.

Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ricorrerà a un emendamento “interpretativo” al decreto salva-Taranto per permettere la vendita delle merci sequestrate e quindi in giacenza (al momento in cui andiamo in stampa, ndr).

2000 persone a casa e una ripercussione nazionale diretta e sull’indotto.

La questione non può essere una lotta tra potere esecutivo e potere giudiziario, è la conclusione di anni e anni di indifferenza e di assoluta mancanza di piani industriali per l’Italia intera.

ilvaLo stabilimento di Novi Ligure, che conta 600 lavoratori, ha un’autonomia di tre settimane con la chiusura dell’impianto di Taranto. È questa la stima fatta dal presidente della Fiom di Alessandria, Mirko Oliaro, che indica, che superato il periodo di autonomia, anche migliaia di persone dell’indotto saranno inevitabilmente a rischio. Nei giorni scorsi era intervenuto sulla chiusura anche il primo cittadino di Novi Ligure, Lorenzo Robbiano, presosi a cuore la situazione dei lavoratori dello stabilimento della sua città, con una lettera all’ex presidente del consiglio Mario Monti: “La decisione della Società Ilva di chiudere lo stabilimento di Taranto – scriveva il sindaco – che conseguentemente provoca la chiusura degli stabilimenti di tutto il Gruppo Riva, ivi compreso lo stabilimento di Novi Ligure, è un atto di estrema gravità. Questa Amministrazione ha ribadito più volte che il tema del lavoro non può essere messo in alternativa a quello della salute e ritiene tuttora che questa sia la via maestra sulla quale tutti dobbiamo lavorare”.
Le voci dei giorni scorsi degli operai dello stabilimento di Novi Ligure denotavano preoccupazione, quasi un non voler credere che potesse davvero succedere: “Lavoriamo qui da anni ormai.

Se l’Ilva dovesse chiudere non sapremmo dove andare a lavorare. Oggi le grandi ditte hanno difficoltà ad assumere, i posti di lavoro sono pochi. Io ormai ho i miei anni e una famiglia da mantenere e ad oggi mi chiedo: cosa farei in quel caso? La verità è che non lo so e forse non voglio nemmeno immaginarlo.”

Il caso Ilva arriva sotto Natale come l’ennesima scure a una crisi che ha colpito duramente tutte le famiglie italiane; la vacatio del Governo e l’incertezza del futuro politico dell’Italia potrebbero essere i detonatori di uno stato sociale pronto ad esplodere. Gli operai non si fermeranno e continueranno a lottare per il posto di lavoro mentre le madri che hanno visto i loro figli morire di tumore plaudono allo stop all’inquinamento.
Questa è la tragica scelta che si pone davanti alle povere persone che vivono di Ilva e che non saprebbero dove altro andare, morire di stenti e in povertà adesso o forse di malattia fra 10 anni?

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