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Musicalmente l’alessandrino Francesco Albertazzi è nato come chitarrista. Nel 2010, però, l’improvviso incontro con l’ukulele ne sconvolse la vita artistica nel profondo. Il suo fu amore a prima vista con quello che è spesso confuso con una versione mignon della chitarra, ma che in realtà possiede una propria storia e dignità. Di solito lo si associa all’esoticità delle Hawaii, dove appunto fu importato nell’Ottocento dai portoghesi. Dovette passare un secolo, precisamente fino al 1915, prima che l’ukulele facesse il suo sbarco sulla terra madre, gli Stati Uniti, da dove poi si diffuse nel resto del mondo. Raggiunto un notevole picco di popolarità attorno agli anni sessanta, “il regalo che arrivò qui” (questo il significato dei termini hawaiiani “uku” e “lele”, che formano il nome dello strumento) cadde progressivamente in disgrazia. Tuttavia, non scomparse, anzi, da una ventina d’anni è protagonista di una nuova rinascita, facilitata nell’ultimo decennio da video di appassionati su YouTube e da musicisti incaricati di preservarne la memoria. Tra questi, spicca l’alessandrino Albertazzi, che in sei anni s’è ritagliato un ruolo di rilievo in questo particolare pianeta dell’universo musicale. Da quattro anni collabora con Risa per promuovere l’ukulele in Italia, mentre nel 2013 ha partecipato a “Ukulele. The Real History Show”, inedito documentario girato dal vivo a raccontare la storia dello strumento insieme con altri artisti di caratura mondiale. Albertazzi condivide la sua passione anche in forma didascalica, in qualità di insegnante all’interno del progetto internazionale “Ukulele in the Classroom”, un ruolo che lo porta a tenere lezioni e workshop in Italia e all’estero. Cultore dello strumento e maestro, Albertazzi è innanzitutto musicista, per di più di grande richiamo sopranazionale: oltre all’Italia e alla Francia, l’alessandrino ha aggiunto l’Irlanda nella lista dei paesi toccati dalla sua musica, in attesa di visitare la Finlandia e l’Inghilterra il prossimo anno.

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