dialessandria.it - no photo
dialessandria.it - no photo

Il Capodanno 2018 ci propone due pellicole italiane molto eterogenee fra loro, oltre a una commedia musicale americana in perfetta sintonia con l’atmosfera festiva.

Con Napoli velata Ferzan Özpetek, a pochi mesi di distanza dalla prova di Rosso Istanbul, torna a raccontare una storia di detection (che ci fa ricordare, per affinità, anche quella filmata da Tornatore ne La corrispondenza), a partire dall’appassionato incontro Eros-Thanatos tra  Adriana (Giovanna Mezzogiorno), anatomopatologa scontrosa e schiva, e Andrea (Alessandro Borghi), misterioso amante che poi scompare nel nulla, risucchiato dal ventre segreto di una Napoli splendida e crudele. “Ho conosciuto questa città cinque anni fa, quando vi soggiornai per la direzione della Traviata: me ne sono innamorato perdutamente. Come diceva Troisi, chi è napoletano Ricomincia da tre“. Al suo dodicesimo film, che è anche un’indagine poliziesca, alle stesso tempo mystery e mélo, Özpetek ama smarrirsi e far entrare lo spettatore dentro l’utero materno, gemellare, sempre sull’orlo della decomposizione di una città antica, polimorfa, “velata”, appunto, con un volto di luce e uno d’ombra, sotterraneo, iniziatico. Adriana (la brava e matura Giovanna Mezzogiorno; altrettanto intensa e potente è l’interpretazione della Ludovica di Lina Sastri) è il novello Ulisse,  e Dante, alla ricerca di un viatico per la conoscenza dei misteri oltremondani. Lo stile è barocco, a tratti eccessivo, l’immagine densa, materica, soverchiante. Eppure, come sostiene lo stesso Özpetek, a volte per comprendere davvero “bisogna più intravedere che sentire”.

The Greatest Showman di Michael Gracey (giovane australiano al suo esordio, ex regista pubblicitario e creatore di effetti speciali) mette in scena come il più scintillante e ambizioso degli spettacoli musicali per il grande schermo la fantasmagorica storia di Phineas Taylor Barnum (Hugh Jackman, già abile cantante-attore in Australia I miserabili), fondatore del celeberrimo circo Barnum, uno tra i più grandi spettacoli del mondo, fucina di attrazioni esotiche e dei cosiddetti “freaks”. Per raccontare questa storia Gracey si avvale, per sceneggiatura e musiche, di alcuni tra i migliori talenti in circolazione, da Jenny Bricks e Bill Condon (per lo script) al duo Pasek & Paul, insieme a Johnn Debney (per le canzoni). Il risultato è un intrattenimento di alto livello, al pari della gloriosa storia del Barnum: il percorso d’arte e di vita di un uomo entusiasta, pragmatico, completamente artefice del proprio successo, a partire da un’infanzia difficile e misera. Numeri d’arte varia, balzi temporali, virtuosismi alla Méliès; fantasmagoria pura, come il cinema alle sue origini.

Riccardo Milani, già aiuto regista di Monicelli, Moretti, Luchetti e autore di fiction televisive quali Rebecca, la prima moglie e Atelier Fontana – Le sorelle della moda, torna al cinema con un’ironica commedia che cerca con incerti risultati l’approfondimento del tema della distanza socio-culturale fra le classi (con tutte le prevenzioni e gli stereotipi del caso). Come un gatto in tangenziale, tipica espressione romana usata per indicare una situazione destinata a non durare a lungo, è il racconto dell’incontro-scontro tra Giovanni (Antonio Albanese), esperto di un think tank che lavora alla riqualificazione delle periferie urbane ed esponente di una borghesia medio-alta apparentemente liberale, e Monica (Paola Cortellesi, anche co-sceneggiatrice del film), rappresentante proprio di quella borgata romana oggetto di certi obiettivi salvifici. L’innesco della parabola di avvicinamento tra i due mondi è rappresentato da Agnese (Alice Maselli), la figlia adolescente di Giovanni e dalla sua attrazione per Alessio (Simone De Bianchi), figlio di Monica. Da qui si costruisce (o de-costruisce, a seconda dei punti di vista) un plot semiserio fatto di battute, gag, situazioni al limite – inevitabili dalla prospettiva di una storia come questa – situazioni paradossali che dovrebbero servire a porre in rilievo la complessità del superamento delle proprie personali prevenzioni e limiti da parte di entrambe le parti in causa. Purtroppo il film non decolla, il messaggio (quello serio) non passa e la denuncia rimane in superficie, nonostante la professionale bravura della coppia Cortellesi-Albanese, già vista in Mamma o papà? Come un gatto in tangenziale rappresenta un’occasione parzialmente sprecata per mettere in quadro e allo specchio le contraddizioni dell’Italia di oggi.

Felice 2018 da chi scrive.

Barbara Rossi