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In un fine settimana ancora avaro di uscite cinematografiche di rilievo, come il precedente, segnaliamo l’ultimo film del regista greco Yorgos Lanthimos (The Lobster, con il medesimo protagonista, Colin Farrell), Il sacrificio del cervo sacro, presentato in concorso al Festival di Cannes 2017 e vincitore del Prix du scénario.

Rara miscela di thriller, horror psicologico, tragedia classica di umani sentimenti in un universo popolato da dei efferati e fantasmi, il film si apre sul buio e poi sul sangue, sulla carne viva, aperta, esposta. Questa ouverture assurge a paradigma di una storia a suo modo maledetta, di emozioni, pulsioni e memorie inconfessabili, che parte – come spesso accade non solo nella finzione romanzesca (“la rassicurante luce dell’horror”, la chiamava Emanuela Martini anni fa, a proposito di Shining) – da una situazione di apparente tranquillità, di calma, di stasi: Steven (Colin Farrell) è uno stimato cardiochirurgo, marito della bellissima Anna (Nicole Kidman) e padre di Bob (Sunny Suljic) e Kim (Raffey Cassidy). Una vita agiata, forse emozionalmente un po’ fredda, ma senza scosse, che inizia a venire turbata e a sgretolarsi non appena Steven introduce in casa sua Martin (Barry Keoghan, già visto in Dunkirk di Nolan, dallo sguardo “nicholsoniano”, enigmatico e inquietante), uno strano ragazzo dal passato misterioso.

Con uno stile dichiaratamente emulo di Kubrick, Lanthimos si conferma narratore di una post-modernità frigida, asettica, inumana, in grado soltanto di tramutare il dolore e la passione in estremo lamento funebre, furia cieca e omidicida. Nel mezzo, tra i due estremi – dove prima sopravvivevano ragione e senso – ora non c’è nulla, né vale la pena cercare. Anche le parole, di fronte al trionfo dell’irrazionale, dello strappo nel teatrino di cartapesta, non hanno più alcun significato e risuonano vuote, in un contesto familiare depauperato.

Racconto edipico, nel quale a un padre riluttante viene imposto il supremo sacrificio, insieme al supremo potere di vita o di morte sui propri cari, pellicola con qualche ingenuità, ma ritmata, adrenalinica e insieme venata da cupe atmosfere e interrogativi da noir esistenziale, Il sacrificio del cervo sacro non è, in definitiva, un’opera che passa inosservata, e qualche riflessione la innesca. E’ già un punto fermo, in questo caldo inizio dell’estate cinematografica.

Barbara Rossi