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In questo primo fine settimana di febbraio predomina nettamente, con la poderosità e l’importanza della sua storia, oltre che la bravura di tre mostri sacri del cinema americano contemporaneo, The Post di Steven Spielberg.   L’economista e funzionario del Pentagono Daniel Ellsberg (Matthew Rys) rende noto nel 1971 parte di un rapporto top secret che costituiscono un vero e proprio atto d’accusa nei confronti degli Stati Uniti e del suo coinvolgimento nella guerra del Vietnam. Dopo la prima pubblicazione sul New York Times, subito bloccata da un’ingiunzione del tribunale, è il Washington Post a riprendere in mano lo scabroso dossier, tirando le fila (e le somme) di una vicenda dolorosa, una vera e propria ferita aperta nel cuore dell’America. Katharine Graham (Meryl Streep), prima figura femminile al timone di una casa editrice e di un giornale di tale prestigio, e il direttore Ben Bradlee (Tom Hanks) coraggiosamente decidono di porre la propria squadra giornalistica al servizio dell’onestà, della trasparenza e del cosiddetto “diritto di cronaca”, contribuendo al primigenio sgretolarsi del potere presidenziale nixoniano. Spielberg, sulla scia della lunga serie di pellicole – specialmente di stampo anglosassone – aventi per tema il caso di cronaca, l’inchiesta giornalistica, gli scandali politici derivanti dal ricorrente insabbiamento di verità scomode agli occhi dell’opinione pubblica (da Tutti gli uomini del presidente in poi), firma un’opera complessa, monolitica ma variegata, che mette in scena due ineccepibili interpreti e ricostruisce con rigore documentario, con solo un pizzico di retorica in certi passaggi, un momento cruciale della storia a stelle e strisce. Su tutto e tutti ovviamente emerge il granitico e inossidabile personaggio della Streep, una Katharine Graham lottatrice nata entro un prevaricante universo maschile.       

Con C’est la vie – Prendila come viene, deliziosa, intelligente e movimentata commedia candidata a ben nove nomination ai premi César 2018 e presentata in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma, il duo formato da Éric Toledano e Olivier Nakache, registi e sceneggiatori di Quasi amici, Troppo amici e Samba, raccontano la scoppiettante storia di Max Angély (un fantastico e godibilissimo Jean-Pierre Bacri), severo, rigoroso e stanco wedding planner, e del suo variegato, eterogeneo gruppo di collaboratori (un cast di brillanti interpreti, da Gilles Lellouche a Vincent Macaigne, da Suzanne Clément a William Lebghil a Eye Haidara), tutti alle prese con l’organizzazione del matrimonio fra due tipi molto ‘sui generis’: l’arrogante Pierre (Benjamin Lavernhe) e la sbadata Héléna (Judith Chemla). A far da cornice al lieto evento il giardino di un castello secentesco e una serie di terribilmente imprevedibili intoppi. Ideata nel 2015, subito dopo gli attentati di Parigi, C’est la vie, in originale Le sens de la fête, Il senso della festa, è una pellicola piena di umorismo, creatività, forza vitale, joie de vivre: tra motti, lazzi, imprevisti, quotidiane assurdità (e perfino il rifacimento di una canzone di Eros Ramazzotti), il senso del vivere è proprio il non arrendersi beffardo e irridente di fronte agli ostacoli, ai seccatori, agli ostinati usurpatori di felicità.

Barbara Rossi