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Il fine settimana di metà gennaio ci propone al cinema il ritorno di un grande maestro, Martin Scorsese, con Silence, un film impegnativo, sia dal punto di vista della durata (161 minuti), sia da quello dell’impegno che ha richiesto la sua realizzazione (sono passati trent’anni prima che il regista riuscisse a trasporre sul grande schermo il romanzo Silenzio, dello scrittore giapponese di religione cristiana Shusaku Endo, non solo a causa di problemi produttivi ma anche interiori, derivanti dal confronto con il grande tema della fede).
Nel 1633 i due giovani gesuiti Padre Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Francisco Garupe (Adam Driver) partono per il Giappone, dove i cristiani vengono torturati e perseguitati, alla ricerca del loro confratello e maestro spirituale Padre Ferreira (Liam Neeson), che pare avere abiurato la propria fede. All’arrivo farà loro da guida l’ambiguo e voltagabbana Kichijiro (Yōsuke Kubozuka), un contadino alcolizzato convertito al cristianesimo. Tutti e tre i Padri dovranno affrontare prove terribili, a contatto con le ritorsioni esercitate dal potere imperiale sui cristiani, che metteranno duramente alla prova la loro fede.
Scorsese, ancora una volta dopo L’ultima tentazione di Cristo e Kundun, si interroga su fede, spiritualità e difficoltà di commistione tra l’altezza del sentimento religioso e la bassezza degli istinti umani. Silence è una pellicola potente, su peccato, colpa ed espiazione, che marchia col fuoco, oltre i corpi degli attori-personaggi (sublime il terzetto costituito da Garfield, Driver e Neeson), anche l’io spettatoriale, messo di fronte a fatti, situazioni, personalità estremi.

Allied-un’ombra nascosta, è la pellicola con cui Robert Zemeckis gioca con gli elementi narrativi di un plot piuttosto prevedibile, perché – seppure in forme diverse – molto spesso messo in campo sia nel cinema classico che in quello contemporaneo.
Il regista, tuttavia, da decenni abile confezionatore di emozioni e funambolo in perenne equilibrio tra i generi, dall’animazione alla fantascienza all’avventura, dimostra di saper cucinare con ingredienti consueti un piatto seducente, coadiuvato nell’impresa dalla presenza scenica di due attori-divi del calibro di Brad Pitt (Max Vatan) e Marion Cotillard (Marianne Beausejour).
1942. A Casablanca, leggendaria terra di spie e intrighi, si incontrano il comandante d’aviazione franco-canadese Vatan e l’affascinante Marianne: i due si fingono marito e moglie per portare a buon fine l’assassinio dell’ambasciatore tedesco. Alla fine della missione si innamorano e convolano realmente a nozze, ma il loro rapporto è minato alla base da un terribile segreto.
Il film di Zemeckis ha ritmo, azione, suspence: i rimandi a un certo tipo di cinema hollywoodiano del passato, al Casablanca di Michael Curtiz, in particolare, sono palesi ma raffinati e nient’affatto banali.
Allied, come i buoni film del genere, è un perfetto meccanismo a orologeria: oltre che un divertissement sofisticato e glamour, di ottimo livello.

John Lee Hancock, regista e sceneggiatore con esperienza di biopic (Saving Mr. Banks, 2013), ricostruisce con The Founder la storia dello spregiudicato imprenditore Ray Kroc, che negli anni Cinquanta riuscì a sottrarre il controllo della già avviata catena di fast food americani ai fratelli Dick e Mac McDonald, i quali avevano avuto l’idea primigenia di una forma di ristorazione veloce ed economica.
Centro propulsivo del film, narrativamente ben costruito e dinamico, è Michael Keaton, che nei panni di Kroc compendia al meglio tutto il negativo, mentale, caratteriale, umano, di un talento imprenditoriale votato alla distruzione dell’esistente, con l’obiettivo di far spazio al proprio ingombrante e geniale ego. Nella gestualità concitata, nelle espressioni del volto, negli sguardi acuti e rapaci Keaton coglie al meglio ed esalta la personalità dell’uomo d’affari, evidenziando il lato oscuro del sogno americano. Una splendida interpretazione (brava anche Laura Dern, attrice-feticcio di Lynch, nel ruolo di Ethel Fleming, la moglie di Ray), una puntuale ricostruzione storica di un personaggio controverso, di un’epoca, della geografia spaziale e simbolica di un’America rampante. Da vedere.

Barbara Rossi

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