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[Cinema…]

Non sapeva chi era, Anna. Alla straordinaria attrice, che Jean Renoir – ne La carrozza d’oro – fece assurgere a simbolo di tutti i commedianti del mondo, vera e propria quintessenza del teatro e poi del cinema italiano, della fulgida e breve stagione del Neorealismo, spesso capitava di perdersi, fino a non riconoscere più il suo volto. Si perdeva, la Magnani, nei sempiterni ruoli di “popolana isterica e rumorosa”, come li definiva lei stessa; a partire, negli anni Quaranta, dalla minuta Elide di Campo de’ Fiori di Bonnard, attraverso la ‘sora Pina’ del rosselliniano Roma città aperta, l’Angelina del film di Zampa, sino ad arrivare all’apoteosi del popolaresco sordido e tragico insieme, quella ‘Mamma Roma’ che sancì la sua collaborazione con uno fra gli intellettuali più acuti e controversi del Novecento, Pier Paolo Pasolini.

Simbolo della coraggiosa e mai doma generazione di donne che contribuirono alla rifondazione dell’Italia dalle macerie del secondo conflitto mondiale, immagine divistica unica sia rispetto alle divette del cinema fascista dei “telefoni bianchi”, sia alle cosiddette “maggiorate” degli anni Cinquanta – dalla Mangano alla Lollobrigida, alla Loren – ha conquistato gli sguardi e i cuori di un pubblico internazionale, con i capelli corvini perennemente spettinati, le occhiaie fonde, la voce stridula e il carattere fumantino.

Proprio in questa straordinaria miscela di femminilità non convenzionale ma autentica, prorompente e verace, gioiosa e dolorosa insieme (Fellini parlava di una sua “aria fosca da regina degli zingari”), nel suo essere artista a tutto tondo, capace di passare senza soluzione di continuità dal registro drammatico a quello comico, dalle vecchie ballate francesi agli stornelli romani, si può ritrovare il senso della sua inconfutabile alterità nei confronti dell’olimpo divistico sia italiano che americano.

A Hollywood, nel cui rigidissimo contesto produttivo la Magnani girò tre film, vincendo – prima attrice italiana nella storia del premio – l’Oscar per La rosa tatuata, la accolsero come una dea incarnata, alla stessa stregua del mito Greta Garbo. Lavorò bene sia con Anthony Quinn che con Burt Lancaster ed Anthony Franciosa, di cui si innamorò corrisposta. Con l’icona di sensualità Marlon Brando, sul set di Pelle di serpente, litigò in continuazione, nonostante la profonda stima che nutriva per l’attore. Famosa la sua risposta al divo che l’accusava di voler vincere sempre: «Tu non sai quante volte ho perso, io, nella mia vita. Ma ti assicuro che perdere fa bene. Farebbe bene anche a te».

Tennessee Williams, che ideò il personaggio di Serafina ne La rosa tatuata su misura per lei, amava sottolineare dell’amica che era la persona più libera e anticonformista che avesse mai conosciuto.

Il piano dell’arte e quello della vita sono sempre stati, in Anna Magnani, indissolubilmente uniti, come dimostra, ad esempio, la difficoltà nel rapporto con il figlio Luca, trasposta in una molteplicità di complicati ruoli materni.

Ancora Fellini, nel finale di Roma – che costituisce l’ultima apparizione dell’attrice sullo schermo, nel 1972 – la racconta come un crogiolo di contrasti, lupa e vestale, “aristocratica e straccionesca, tetra, buffonesca”, come la città di cui è stata il simbolo.

Lei, invece, “Nannarella”, amava dire di se stessa: «Non so se sono un’attrice, una grande attrice o una grande artista. Non so se sono capace di recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila donne. Ho solo bisogno di incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto».

 

Barbara Rossi

 

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