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A quindici anni dalla sua comparsa o, meglio, dalla sua irruzione nei vigneti alessandrini, la Flavescenza Dorata continua a essere un argomento “caldo” che come nei migliori programmi di avanspettacolo ospita sul proprio palcoscenico, a turno, voci di provenienza e contenuti diversi e a volte discordanti. All’inizio dell’emergenza, nel 1998, alcuni ricercatori, facendosi scudo della propria credibilità, negavano addirittura l’esistenza stessa della malattia mettendo in discussione i trattamenti insetticidi come metodo di contenimento delle infezioni e facendo perdere tempo prezioso e possibilità di successo al controllo della Flavescenza.

Purtroppo oggi, è evidente e chiara a tutti l’esistenza e la pericolosità della malattia come la necessità di giungere il prima possibile a una soluzione. Per questa ragione è risultata importante una chiacchierata alla quale hanno partecipato i principali attori del coordinamento dell’emergenza Flavescenza in provincia: Paola Gotta del Settore Fitosanitario della Regione Piemonte, Gisella Margara dell’Assessorato Agricoltura di Alessandria, Marco Castelli del Comitato di Coordinamento per la Difesa Fitosanitaria delle Colture in Provincia di Alessandria (Condifesa), Alberto Pansecchi, Marco Visca e Fabrizio Bullano rispettivamente agronomi di Coldiretti, Confagricoltura e Confederazione Italiana Agricoltori hanno voluto approfondire il discorso partendo da considerazioni concrete e accertate.

Sono oltre venti i tecnici che si occupano di Flavescenza dorata nell’alessandrino. Sono tecnici delle Associazioni Agricole Provinciali coordinate dal Condifesa, dei Consorzi di valorizzazione e difesa (Moscato, Gavi, Colli Tortonesi) e dell’Assessorato Provinciale Agricoltura di Alessandria oltre ai liberi professionisti collaboratori del Settore Fitosanitario Regionale, l’Ente della Regione Piemonte preposto all’applicazione della normativa relativa alle malattie delle piante e quindi anche del Decreto Ministeriale di lotta obbligatoria alla Flavescenza dorata.

A nome di tutti loro intendiamo tentare di chiarire attraverso questo quotidiano il problema Flavescenza dorata, consapevoli che un articolo non è assolutamente sufficiente a spiegare i vari meccanismi in gioco, che invece sono stati più volte esposti – e molto chiaramente – in vari convegni e incontri con i viticoltori, spesso purtroppo disertati.
Innanzi tutto capiamo la preoccupazione dei viticoltori: la loro preoccupazione è anche la nostra; è per questo motivo che da tecnici, avendo ben presente la situazione, fin dal 1998 stiamo lavorando per prevenire la diffusione della Flavescenza dorata.

Occorre subito chiarire che la Flavescenza dorata è una malattia contro la quale non ci sono rimedi, cure o medicine: è una malattia incurabile. L’unica modalità di difesa della vite è la lotta all’insetto vettore Scafoideus titanus che trasmette la malattia da piante colpite a piante sane. Questo è il primo punto fondamentale. Per difendere la vite dall’insetto occorre effettuare trattamenti insetticidi che, quindi, non hanno come obiettivo la cura della malattia, ma la prevenzione degli attacchi del vettore della malattia, lo scafoideo. Data la sua diffusione nel territorio vitato alessandrino scientificamente si ritiene che non sia eradicabile, ma che sia necessario imparare a convivere con la malattia.
Per la sua pericolosità, la Flavescenza dorata fin dal 2000 è assoggettata a una lotta obbligatoria su tutto i territorio nazionale. La lotta obbligatoria, senza entrare in dettagli, prevede: da due a quattro trattamenti insetticidi e l’estirpo delle piante ammalate o della vegetazione che porta i sintomi della malattia. Questi interventi di profilassi sono in vigore, come detto, in Italia, e in Piemonte, dal 2000.
Negli ultimi anni la situazione in alcune zone, Astigiano e Roero ma anche nella Provincia di Alessandria sembra davvero essere senza controllo.
A nostro parere sono due le ragioni principali che spiegano la recrudescenza della malattia.

La prima è che le linee di intervento non sono state seguite da tutti. Molti hanno (forse) iniziato ad eseguire i trattamenti insetticidi nel 2005 e nel 2006 e forse anche dopo e forse non sempre. Questo ha permesso allo scafoideo di diffondersi anche nelle aree non coltivate ma con presenza di vite spontanea portando in tali aree spesso anche il fitoplasma; da tali aree lo scafoideo ritorna nei vigneti trasmettendo la malattia alle piante sane. Queste mostrano i sintomi della malattia anche alcuni anni dopo l’infezione: questo periodo di latenza ha infatti durata estremamente variabile e rappresenta un punto critico importante: la pianta non sintomatica può essere comunque infettiva.

La seconda è appunto legata alla presenza di vite spontanea negli incolti nei quali l’insetto vettore trova rifugio (in queste aree non è ammesso effettuare trattamenti), trova nutrimento (l’insetto si nutre esclusivamente della linfa della vite) e trova fonte di infezione.
Noi tecnici siamo del parere che se tutti avessero seguito le regole fin da subito ora forse ci troveremmo nella situazione meno grave, che necessiterebbe meno trattamenti insetticidi (inizialmente quelli obbligatori erano due).
Cosa è mancato negli anni e cosa quindi ci si propone che venga realizzato nel futuro?

Quello che è davvero mancato è fare squadra a livello di territorio: monitorare l’insetto vettore per capire quando intervenire per evitare di sprecare insetticida e per verificare che il trattamento fosse efficace in modo coordinato e contemporaneo nei vari comprensori viticoli, sull’esempio dei modelli di lotta francesi: in Francia sicuramente il problema non è risolto ma almeno è sotto controllo grazie all’impegno dei Gruppi di Azione Locale che sovraintendono a tutte le attività di taglio delle viti infette e monitoraggio del vettore. Queste attività sono svolte al 90 % da gruppi di viticoltori volontari e cittadini volontari. Anche da noi contro la Flavescenza è importante fare squadra: i viticoltori devono lavorare insieme, devono collaborare fra loro, devono capire quando c’è l’insetto per fare il trattamento nel momento giusto proprio per rispettare l’ambiente, preservare la salute e rispettare le api.
Questo è quanto stiamo facendo a livello provinciale monitorando vigneti in tutte le zone vitate dell’alessandrino, segnalando attraverso bollettini le epoche ottimali per i trattamenti. Certamente abbiamo ancora molto da migliorare a livello di comunicazione, anche se abbiamo purtroppo verificato che “non esiste peggior sordo di chi non vuole ascoltare”: Gli articoli usciti lo scorso 26 agosto su questo giornale ne sono l’esempio più lampante e sono giustificabili, anche se non condivisibili, solo se si tiene ben presente la disperazione e la frustrazione di viticoltori che in questo settore operano, al quale dedicano il proprio tempo e affidano le speranze di crescita e soddisfazione di tutta una vita.
Non è però abbassando la guardia e lasciandosi andare al lamento impotente che questa battaglia, che è di tutti, viticoltori, tecnici e ricercatori, può essere vinta!

Purtroppo non esistono soluzioni facili e immediate: se manca anche la consapevolezza che la strada da percorrere in modo unitario è quella dei trattamenti e dell’asportazione della vegetazione o, nei casi più gravi, dell’intera pianta ammalata, la convivenza con la Flavescenza sarà molto difficile.
In questi anni anche la ricerca sta tentando nuove strade di intervento, quali l’identificazione di molecole e microrganismi antagonisti alla diffusione del fitoplasma nella pianta, lo sviluppo di cloni di vite tolleranti oppure di insetti che contrastino lo Scaphoideus titanus; purtroppo soluzioni immediatamente applicabili e risolutive per ora non ci sono e questi campi di ricerca sono in una fase iniziale.
Anche se lo scoramento è grande e comprensibile, occorre che la lotta alla flavescenza sia combattuta attraverso gli interventi che oggi sappiamo essere decisivi: trattamenti, effettuati da tutti i viticoltori, il più possibile contemporaneamente per comprensorio; estirpo delle piante ammalate e eliminazione della vegetazione sintomatica; cura e pulizia degli incolti ove la vite selvatica è fonte di infezione. Tutti dobbiamo fare il nostro compito fino in fondo: anche attraverso campagne di informazione corrette e esaurienti.

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