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Riceviamo e pubblichiamo queste riflessioni inviateci da un nostro lettore:

Nei giorni scorsi in cui abbiamo giustamente commemorato le tremila vittime del peggiore attacco all’Occidente, quello delle Torri Gemelle, in una data che ha rappresentato uno spartiacque violentissimo tra un “prima” e un “dopo” di relazioni internazionali traumatizzate, minore sicurezza percepita, globalizzazione del crimine e del terrore, anche i social network (canali dove ormai sono veicolati l’informazione, il malessere, i sentimenti, gli umori) hanno visto un crescendo di omaggi a quei “caduti”. Ciascuno ha arricchito il proprio profilo Facebook o Twitter con frasi, contributi video, immagini della sciagura dell’11 settembre.

Ed è stato facile rintracciare tra le numerose foto quella più rappresentativa dell’orgoglio e della rinascita di Ground Zero rasa al suolo: quella, celeberrima, in cui svettano le due torri di luce che nel silenzio dell’architettura polverizzata dal terrorismo omicida avevano lo storico e fondamentale compito della memoria, della scommessa nel futuro, e di riempire un vuoto, il vuoto lasciato dalla barbarie.

Un sentimento d’orgoglio accompagnato da triste consapevolezza ha attraversato sicuramente l’animo di tanti fubinesi e alessandrini nel ricordare che quei fasci di luce provenivano dal nostro territorio, da una fabbrica, la Space Cannon, nata dal genio di un imprenditore locale e cresciuta come una stella che brilla di luce propria nel firmamento del settore fino ai massimi successi: Sidney, le Olimpiadi invernali di Torino, Malaysia e, appunto, il World Trade Center, culmine e conferma dell’eccellenza.

Eccellenza che ahinoi si è spenta con la chiusura dello stabilimento, arresosi alla dura realtà del mercato, della crisi che divora il “saper fare”, della finanza che non risparmia piccole aziende produttrici di ricchezza e qualità, delle leggi dell’economia che impongono concentrazioni di imprese, delle scelte di una multinazionale pronta a perseguire interessi a scapito del nostro fiore all’occhiello. Le luci “fubinesi” di New York si sono spente perché ora in quel quadrilatero ferito stanno sorgendo nuovi avveniristici edifici, simbolo del riscatto e della ripresa, mentre a Fubine le luci dell’impianto che aveva portato la nostra provincia nei massimi contesti si sono spente per sempre. “Abbiamo illuminato il mondo, non ce ne andremo nel buio”: questo scrivevano sugli striscioni i dipendenti mentre la fabbrica stava per essere inghiottita nel buco nero del fallimento.
Permettetemi dunque di ricordare, insieme ai tanti che hanno perso la vita nel tragico e inaccettabile attacco dell’11 settembre, anche quanti hanno perso il posto di lavoro. Alla gloriosa Space Cannon come nelle tante altre aziende nostrane, dall’inizio della crisi in poi. E quante occasioni ha perduto il nostro bellissimo Paese, nella navigazione a vista di questi ultimi anni.
Oggi le prospettive paiono più rosee, governanti e analisti spargono ottimismo affermando che la tempesta è passata; chissà allora se un giorno la Space Cannon, formidabile ideatrice di architetture luminose presenti ai grandi eventi di tutto il mondo, avrebbe avuto la grande occasione di riprendere la sua eccellente missione? Purtroppo mai sapremo se questa fortunata eventualità si sarebbe potuta verificare.

Stefano Barbero

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