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Non è la prima volta che nel nostro paese un Governo interviene sui contratti che regolano il mercato del lavoro. In passato, mutuandoli dai paesi anglosassoni, sono stati introdotti i contratti interinali (Co.Co.Co, Co.Co.Pro, a progetto, a chiamata, ecc.) con l’immancabile motivazione che aumentando la flessibilità nel mercato del lavoro, le aziende avrebbero assunto con maggiore facilità e conseguentemente si sarebbe ridotta la disoccupazione e rilanciata l’economia. Peccato che questo non sia praticamente mai avvento, l’economia è rimasta stagnante e ultimamente è persino in flessione e la disoccupazione, in particolare quella giovanile, è ulteriormente aumentata, inoltre negli anni diverse aziende hanno addirittura delocalizzato in altri paesi, approfittando di un costo del lavoro comunque inferiore e di altri vantaggi fiscali.

In questi giorni ci sta provando anche il Governo Renzi con un emendamento sull’art. 4 della legge delega sul mercato del lavoro, che prevede in sintesi quanto segue:

Nuove assunzioni a tempo indeterminato con contratti a tutele crescenti in base all’anzianità di servizio, perciò i nuovi assunti o i disoccupati che trovano un posto di lavoro non avranno le stesse garanzie dei contratti attuali ma le otterranno gradualmente nel tempo. Salario orario minimo per il lavoro subordinato e le collaborazioni coordinate continuative nei settori non regolati dai contratti collettivi. Sono inoltre modificati due punti chiave dello Statuto dei lavoratori: il superamento del divieto delle tecniche di controllo a distanza e la possibilità per le aziende, qualora se ne presenti la necessità, di demansionare un dipendente. Un fisco semplificato con la possibilità di estendere a tutti i comparti produttivi il voucher che sinora era destinato solo alle prestazioni di lavoro accessorio e alle attività assimilabili.

Con l’emendamento in questione, premesso che si dovranno attendere i decreti attuativi per capire meglio, si introducono nuove tutele per determinate fasce di lavoratori, ma senza il reintegro per chi viene licenziato, si apre di fatto la strada al superamento dell’Art.18 con una riduzione della protezione degli stessi dal licenziamento individuale.

In sostanza vengono nuovamente e ulteriormente agevolate le aziende, come con altri provvedimenti del passato, sempre con la motivazione di aumentare la flessibilità ed agevolare le assunzioni. Va ricordato che fra i paesi Ocse, diversi hanno una rete di protezione sul mercato del lavoro superiore alla nostra ed altri inferiore, ma in entrambi i casi le loro economie non ne risentono come quella italiana, che è l’unica ad essere in recessione. Alla luce di quanto sopra sorge spontanea una domanda, se in tempi in cui la crisi non imperversava come quelli attuali, gli interventi sui contratti di lavoro non hanno avuto effetti sulla riduzione della disoccupazione e sul rilancio dell’economia, come potrebbero averne ora?. Il FMI si è affrettato a promuovere la manovra del Governo sul lavoro, il Jobs Act e ha aggiunto che altri tagli nella Spending Review sono possibili solo incidendo sulle pensioni, praticamente un esplicito invito a colpire un’altra fascia debole del paese.

Non sarebbe invece decisamente meglio intervenire in modo drastico sull’evasione fiscale, sulla corruzione (abbiamo per entrambi il record europeo) e sulla riduzione della spesa pubblica a partire dai costi della politica, alfine di consentire una riduzione della pressione fiscale e un recupero importante di risorse da investire nel rilancio effettivo dell’economia, senza continuare a penalizzare i lavoratori e poi forse anche i pensionati?

Pier Carlo Lava

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