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Se vogliamo andare al cinema a Ferragosto l’ultima uscita è Il drago invisibile di David Lowery, una favola in 3D ricca, a livello visivo, di effetti speciali e ipertecnologici, ma non priva di grazia, di magia e profondità narrativa.
Dopo la morte dei genitori il piccolo Pete (Oakes Fegley) viene cresciuto da un drago verde, Elliott, che gli insegna a viaggiare con lui per i boschi, condividendo la straordinaria facoltà di rendersi invisibili.
Il contatto con la civiltà sarà difficile e doloroso, ma facilitato dall’incontro di Pete con Grace (Bryce Dallas Howard), guardia forestale e figlia di un intagliatore (un carismatico Robert Redford) che non fa mistero di avere incontrato a sua volta, anni prima, un drago volante.
Il film di Lowery ricalca da vicino e si fa ispirare da Elliott il drago invisibile di Don Chaffey, la produzione Disney del 1977, abile mescolanza tra disegni animati e live action (l’azione “dal vivo”, con gli attori in carne e ossa), che all’epoca colonizzò l’immaginario infantile: i temi sono aggiornati alla società di oggi, dalla dispersione familiare alla solitudine infantile, alle difficoltà del rapporto padri-figli.
Il drago invisibile, nonostante gli illustri ed evidenti riferimenti, nella trama e nella figura di Pete, alla classicità di storie come Il libro della giungla e La storia infinita, conserva una sua originalità e fascino: adatto a qualsiasi età, pone in evidenza il tema dello sguardo e del saper vedere in profondità, oltre la dimensione più esteriore e superficiale di persone e situazioni.

Per supplire a un carnet cinematografico ferragostano piuttosto scarso, segnaliamo, per l’autunno, il convegno di studi “Bigger than tv: quando la televisione diventa cinema”, organizzato dalla FIC (Federazione Italiana Cineforum) presso la sede dell’Auditorium di Piazza Libertà di Bergamo, tra il 23 e il 25 settembre prossimo: protagonista sarà la serialità televisiva, un tema in cui attualità e storia della Settima arte si fondono: si esplorerà, in particolare, l’evoluzione registratasi, negli ultimi dieci anni, nelle forme della narrazione e della messa in scena in ambito televisivo, con la produzione di un numero sempre maggiore di serie e di mini-serie, quasi sempre distribuite su più stagioni.
Le origini dell’ibridazione tra cinema e televisione sono abbastanza lontane nel tempo: pensiamo all’esperimento fassbinderiano di Berlin Alexander Platz (1980) e del ciclo di Heimat di Edgar Reitz (1984), seguiti un decennio dopo dal lynchano I segreti di Twin Peaks, assurto tra il 1990-91 al rango di fenomeno mediatico mondiale. Ma è in questi ultimi anni che il fenomeno si è esteso, attraverso il coinvolgimento in veste di produttori di registi di alto profilo, come Scorsese, Spielberg, Van Sant, Campion, Haynes, Soderbergh; d’altra parte, occhieggiando allo stile cinematografico, anche il linguaggio televisivo è diventato, nel corso del tempo, più raffinato.
In Italia si è passati attraverso produzioni come Quo vadis, Baby?, Romanzo criminale, I delitti del BarLume, Il giovane Montalbano, la recentissima Gomorra; che loro volta fanno riferimento a fiction quali La piovra e Il commissario Montalbano. Sia il pubblico, in prima battuta, che la critica e gli studi accademici in seguito hanno riconosciuto la novità e l’importanza di questa svolta.

Barbara Rossi

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