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America, anni ’50. Per le strade si sente l’odore del Natale. Le donne, mamme figlie e spose, si affrettano all’entrata di un grande centro commerciale per accontentare i desideri dei loro cari. Osservano la merce, chiedono consigli alle commesse, si interrogano sull’idea del “regalo perfetto”. Tra la calca, due donne si vedono, si guardano e in un attimo si scambiano la pelle.
Così si apre “Carol”, il sesto lungometraggio di Todd Haynes, famoso regista statunitense considerato come l’ideatore della corrente cinematografica “Queer”. Il regista ha spesso raccontato nei suoi film storie d’amore tormentate, osteggiate per la loro natura “diversa”. In “Carol” affronta nuovamente gli anni ’50 (come aveva già fatto in “Lontano dal Paradiso”) prendendo come spunto il romanzo di Patricia Highsmith, descrivendo l’amore dolce e travolgente fra Carol Aird e Therese Belvet, due donne diverse per età ed esperienza, ma attratte l’una dall’altra da una forza magnetica e inarrestabile.
Therese è giovane, dalla bellezza bruna ed acerba, costretta in una vita ancora in divenire; lavora in un centro commerciale, esce la sera senza entusiasmo con gli amici e divide il letto con un uomo per il quale prova un sentimento confuso. Carol è bionda, sicura, affascinante; è sposata con un uomo che non ama, ed è madre di una bambina ancora troppo piccola per capire i loro litigi. Si incontrano quasi per sbaglio, e il loro primo dialogo è colmo di preziosi sotto testi. Un dito affusolato che indugia troppo sul bancone del negozio, un complimento che fa arrossire, uno sguardo che spoglia di ogni difesa. Le due donne sono legate indissolubilmente, e quei guanti dimenticati da Carol sugellano un destino ineluttabile.
Therese è rapita, vinta da un desiderio che non capisce e che muore dalla voglia di vivere; spedisce i guanti galeotti all’indirizzo di Carol, che a sua volta la inviterà da lei per ringraziarla. La giovane verrà coinvolta suo malgrado nella claustrofobica routine di casa Aird, dalla quale Carol vuole fuggire. Ed eccole lanciarsi insieme in un viaggio senza meta, condotte dalla mutua fiducia di un amore a prima vista e dalla dolce voglia di abbandonarsi ad un destino tutto da scrivere. Le due donne si godono il loro tempo insieme senza remore, lontano da tutto e da tutti, perdendosi e ritrovandosi in nudi abbracci; ma la crudele realtà non faticherà a ritrovarle e a derubarle della loro felicità.
L’odio e il pregiudizio hanno in questo film un ruolo piuttosto marginale; le ingiustizie e le ripercussioni subite dalle protagoniste non vengono descritte come un ostacolo gravoso, ma come un trampolino di lancio per la forza interiore e la volontà di scavalcare i preconcetti per riprendere in mano la propria vita. Le due donne crescono insieme al loro amore, mettendolo da parte quando è necessario, ma difendendolo a cuore aperto se ostacolato da chi lo odia per partito preso; due donne coraggiose e moderne, aperte al cambiamento e alla possibilità di migliorarsi, senza cedere alle lusinghe della paura e del giudizio.
L’amore fra Carol e Therese non è mai uguale a sé stesso. Cresce, si infiamma, si ferma a pensare, si lacera per poi ritrovarsi intero e più forte che mai, sbocciando nello sguardo finale delle due protagoniste, che sospende il tempo e il respiro, lasciando un buio carico di commosse promesse di felicità.
Todd Haynes dirige un film ricco di sfumature calde e avvolgenti, che trasporta lo spettatore in una storia raccontata con grazia magistrale e sublime eleganza, lasciando che gli sguardi e le mani delle due splendide protagoniste regalino allo spettatore carezze sensuali, vivide emozioni e vibranti sensazioni. La pellicola, girata interamente in 16 mm dona al film un’allure d’epoca, che se di primo acchito pare evocare un freddo distacco, finisce per coinvolgere e incantare, come l’osservare un vecchio e bellissimo dipinto ad olio.
“Carol”, regia di Todd Haynes. Con Cate Blanchett, Rooney Mara, Sarah Paulson, Kyle Chandler. In sala dal 5 Gennaio.

Giulia Maino

Di Fausta Dal Monte

Giornalista professionista dal 1994, amante dei viaggi. "La mia casa è il mondo"

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