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Un pasto caldo.
Furti, elemosine e disperate richieste d’aiuto per assicurarlo ai propri cari. Orgoglio e dignità che perdono valore. Astuta, insidiosa ed abietta, la povertà è un male per il quale, ancora oggi, non esiste cura. È sufficiente passeggiare per le vie del centro, per vederla con i propri occhi. Marciapiedi, panchine e carrelli della spesa che portano la firma di chi non ha più niente. 340 è il numero delle persone che nel 2012 si sono recate alla Caritas alessandrina per la prima volta. Sono anziani, giovani, italiani, stranieri, ex detenuti, alcolizzati, vittime del gioco, donne e uomini, figli di un’epoca di crisi che sembra ben lontana dalla fine. Costretti al freddo, alla fame, alla sete e alla malattia. Persone che hanno sofferto e continuano a soffrire e persone che, nonostante l’aiuto offerto, utilizzano le ultime energie rimaste per un unico scopo: scavarsi la fossa. Basta recarsi all’ora di pranzo alla mensa dei poveri, per iniziare a riflettere sulla vita. Alcuni, gentili, educati e rispettosi, celano nello sguardo il desiderio di un cambiamento e la voglia di vivere. Altri, scontrosi ed irascibili, nello sguardo non nascondono più niente. Sono occhi cupi, freddi, vuoti. Occhi di chi non trova la forza per rialzarsi e rifiuta ogni offerta d’aiuto. Occhi di chi si è arreso e non ha intenzione di prendere in mano le redini della propria vita. Nel 2012, il Centro d’ascolto della Caritas, ha accolto 917 persone tra le quali: 70% straniere e 30% italiane (in aumento ogni anno del 10%). L’80% è formato da persone con famiglia, il restante 20, corrisponde a donne e uomini soli che vivono nei dormitori. Bob Dylan nel 1964 cantava “Times they are changing” (“I tempi stanno cambiando”) ma, purtroppo, i poveri di oggi sono gli stessi di ieri e, probabilmente, gli stessi di domani.

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