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Spaccio e uso: un fenomeno in crescita nella città di Alessandria. Reti criminali locali e geograficamente organizzate globalmente

Storie vere di disperazione, l’impegno delle forze dell’ordine nella nostra provincia e il lavoro certosino per il recupero nella comunità di Frascaro con Don Gallo

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primo-piano-art-1La situazione dell’Alessandrino è sostanzialmente sotto controllo, anche se evidenziamo un aumento del consumo rispetto alle statistiche di qualche anno fa, soprattutto in riferimento alla cocaina”. Così il capo della Squadra Mobile di Alessandria, Domenico Lopane, descrive lo stato dell’arte del rapporto tra l’uso di droghe e la nostra provincia.
“Il traffico e lo spaccio delle sostanze stupefacenti possono entrare nel contesto della criminalità comune od organizzata. A livello di macrocriminalità, la posizione di Alessandria all’interno del cosiddetto triangolo industriale comporta l’essere lambita dal transito di grossi carichi di stupefacenti, perlopiù di passaggio verso Milano, Torino e Genova. In diversi casi abbiamo intercettato i corrieri di tali trasporti, anche con il supporto della Polizia Stradale. A livello di microcriminalità, riscontriamo l’interesse di alcune etnie per lo spaccio di determinate sostanze: l’hashish risulta appannaggio di soggetti del Nord Africa, la cocaina invece di persone provenienti dall’Est Europa e di italiani, che vi si avvicinano sia per percepirne guadagni dalla vendita che per poter disporre di dosi per uso personale. Mentre l’eroina non viene più assunta per via endovenosa ma fumata con altre sostanze dall’effetto stimolante (l’effetto speedball), abbiamo appurato l’aumento del consumo di droghe sintetiche, in particolare sotto forma di pasticche, diffuse frequentemente nell’ambiente dei locali notturni”. A proposito della cocaina – dice Lopane – “osserviamo una sua diffusione a livello di tutti gli strati sociali (dall’operaio o dal muratore fino al libero professionista)”. I soggetti più giovani, anche minorenni, non sono estranei alle droghe. S’inizia spesso con l’hashish delle canne, arrivando presto alla necessità di aumentarne i dosaggi e alla completa assuefazione. Ci si sposta quindi su altre sostanze, andando incontro alle conseguenze più gravi (overdose, morte). In loro è forte anche l’attrazione delle droghe sintetiche, in particolare in chi cerca lo sballo nel weekend.
Nel corso della conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’arresto di Domenico Trimboli, operazione portata a termine dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e di Alessandria, sono state evidenziate le principali difficoltà cui magistratura e forze d’ordine si trovano a far fronte nell’attività di contrasto al traffico internazionale delle sostanze stupefacenti, “la disomogeneità tra le normative a riguardo dei paesi coinvolti dal fenomeno (sia tra paesi UE che in rapporto con gli extra-UE) e l’eccessiva burocrazia che complica lo svolgersi delle operazioni di polizia in territorio estero”. Si tratta di blocchi rimuovibili attraverso la firma di convenzioni, anticipate dall’impegno nell’uniformare le legislazioni delle nazioni prese in considerazione.

Stefano Summa

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primo-piano-art-2L’abuso di sostanze stupefacenti logora, condanna, distrugge e cancella.
Logora a livello psicofisico; condanna ad una vita che non è vita; distrugge rapporti, personalità, speranze, futuro; cancella ciò che è stato, sostituendolo con un “sarà” buio, cupo e freddo.
Tra tante storie di vite stroncate, abbiamo raccolto un messaggio di speranza, coraggio e forza. La storia di chi, dopo un periodo “no”, è riuscito ad urlare a pieni polmoni “Sì”: “Sì, alla vita”.
Per mantenere la privacy del protagonista, lo chiameremo solo A.A. È il portavoce di un problema comune; la sua è una storia come tante altre, segnata dall’abbandono, dalla solitudine e dalla rassegnazione.
“Benché sia triste da ammettere, ho iniziato ad entrare nel mondo della droga per gioco. Ripetevo a me stesso: ‘Sono forte, posso smettere quando voglio’. Non mi accorgevo del fatto che stessi perdendo il senso della realtà. A 18 anni frequentavo quella che i genitori definiscono “una cattiva compagnia”; trascorrevamo i pomeriggi a fumare spinelli. Il passo successivo è avvenuto nel giro di poco: dopo qualche mese assumevo e spacciavo pasticche di ecstasy e non solo.”
Mentre racconta la sua storia abbassa lo sguardo, stenta a creare una sorta di contatto visivo, ma lo sconforto e la delusione traspaiono dai suoi occhi.
“I rapporti in famiglia erano difficili, soprattutto con mio padre che, dei due, è il più severo. I miei genitori non capivano il perché dei miei comportamenti, faticavano a pensare che il loro figlio potesse essere vittima di questo male. Quando avvertivo il bisogno di assumere droghe ero irascibile, litigioso e, talvolta, violento: per sfogare la mia rabbia lanciavo gli oggetti. Mia madre, disperata, un pomeriggio ha messo a soqquadro la mia stanza ed ha trovato due pasticche. Io mi abbandonavo nella solitudine, rifiutando ogni offerta d’aiuto. Ripetevo a me stesso di non averne bisogno.”
A.A. ci racconta che, parlando del passato con la consapevolezza del presente, avverte molteplici sensazioni ed emozioni: sconforto ed amarezza, ma anche affetto nei confronti di chi ha fatto il possibile per aiutarlo.
“Per qualche mese l’eroina è stata la mia miglior amica. Mi faceva stare bene e mi sentivo libero, ma il mio fisico non reggeva. Una notte mi sono svegliato coricato su una panchina, per terra una siringa. Erano le tre, tremavo e piangevo. Ho chiesto aiuto alla prima persona che mi è venuta in mente: mio padre. È arrivato insieme a mia madre e ad un’ambulanza. Io ero affranto e spaventato per quello che sarebbe successo. Quando i miei genitori si sono avvicinati ed ho letto la paura nei loro occhi, ho avvertito il bisogno di un cambiamento.”
Con tristezza, ma soddisfazione, ci parla del periodo della disintossicazione come una scalata verso una vetta apparentemente irraggiungibile, un’arrampicata irta di ostacoli e sofferenze, ma che lo ha portato ad essere la persona che è: un ragazzo forte ed un esempio di speranza.

Giada Guzzon

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primo-piano-art-3Cerco su Wikipedia. Cito: “L’eroina è un derivato della morfina, componente dell’oppio, nota anche come Diacetilmorfina o Diamorfina”. Informandosi sulla storia di questa sostanza, si scopre che l’eroina divenne una vera e propria piaga sociale tra gli anni ’70 e ’90, con una diminuzione via via progressiva. Eppure, tra nuove droghe e dipendenze legali e non, l’eroina resiste. E attira ancora molti giovani. Uno di loro l’ho incontrato, e grazie a lui è nato questo articolo. W.D. vuole restare nell’anonimato. Ha vent’anni. Lo intervisto in casa sua, mi aspetta sulla porta con un sorriso gentile. La camera in cui ci sediamo a parlare è simile a quella di tanti ragazzi della sua età: dischi, foto, alcuni quadri. Anche una chitarra: “Suona proprio bene e l’ho pagata pochissimo, senti?”.
Quando iniziamo a parlare, W.D. si gira uno spinello. “È l’unico vizio che mi è rimasto: mi piace fumare marijuana, ma solo per suonare o fare qualcosa di creativo. Fumare per mettersi davanti alla televisione non serve a nulla”. Mi chiedo se sono proprio gli spinelli la prima droga con cui ha avuto a che fare. “Sì, ho provato un po’ di tutto. L’unica cosa che non avevo mai visto era l’eroina”. Ma alla fine il vaso di Pandora si apre. E quando? “Durante un viaggio in Italia, con alcuni amici. Abbiamo incontrato un ragazzo, voleva venderci qualcosa da fumare. Poi ci ha proposto di provare l’eroina, per pochi soldi in più avremmo potuto averla. Io, senza pensarci troppo, ho accettato”. Facile, no? Si trova un aggancio, anzi, capita che l’aggancio trovi te. Ci si sposta in qualche luogo, si paga, si consuma. E a volte ci si rovina la vita per sempre. “All’inizio, come tutti, l’ho fumata. Non ho mai pensato di tirarla dal naso, e soprattutto non me la sarei mai iniettata. Ho il terrore degli aghi”. Se si ha la fobia delle siringhe, come si arriva a bucarsi? “Perchè dopo un po’ che fumi, la sostanza smette di fare effetto. Sono tornato dal viaggio, e non ho più assunto eroina. Mi è capitato di ritrovarne qui ad Alessandria, e lì è cominciata la dipendenza. Passando il tempo ne compravo sempre di più. Venti euro, cinquanta, cento. Ho buttato via un sacco di denaro, venduto molte cose, ho persino rubacchiato in giro”. Cresce il bisogno mentale e fisico di eroina, dopo solo pochi mesi. “Il primo buco non me lo sono fatto da solo. Mi hanno aiutato. È stata una situazione strana, quasi non riuscivo a dire di no. Intanto fumarla non mi bastava più. Però, da quel giorno c’è stata una specie di discesa verso gli inferi”. Il consumo di droga diventa l’unico motore: “Per il resto non si hanno energie di nessun tipo, meno che mai quelle sessuali”. Ma i famigliari si accorgono di cosa succede ai loro figli? “Mi dicevano che ero sempre più pallido, silenzioso, e notavano che dalla casa spariva qualcosa di valore. Un giorno ho semplicemente confessato. Sono stato curato in una clinica privata per un paio settimane, poi al SerT”. W.D. non mi guarda negli occhi, quasi mai. Inizia a cambiare quando parla della sua attuale disintossicazione. “Ho assunto eroina per circa due anni, e da cinque mesi sono pulito. Ora voglio pensare a me, e scegliere a cosa dedicarmi nella vita”.
Una storia come tante sul mondo della droga. Una triste tradizione di usi ed abusi che ancora rimane, e non si può mai abbassare la guardia. Perchè W.D. sta uscendo dal suo periodo nero, ma c’è anche chi non ce l’ha fatta.

Ilaria Zanazzo

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primo-piano-art-4A fronte del consumo di sostanze stupefacenti tra giovani e non, sono sempre più diffusi i progetti di aiuto e recupero dei tossicodipendenti. Tra queste c’è la Comunità “G. Rangone” di Frascaro, che fa parte dell’Associazione Comunità San Benedetto al Porto in Genova, con fondatore Don Andrea Gallo.
A sostenere l’iniziativa nel corso degli anni ci sono stati moltissimi artisti, tra cui Gino Paoli, Moni Ovadia, Manu Chao e Caparezza.
La Comunità accoglie chiunque si trovi in situazioni di disagio, con particolare attenzione al mondo dell’alcol e delle droghe.
Abbiamo intervistato alcuni operatori per capire quali siano le modalità di recupero delle persone che si rivolgono alla struttura. “La comunità è già di per sè in un progetto di recupero”, ci spiega una delle ragazze. “Siamo una comunità senza sbarre: non si è obbligati ad entrare ed è la coscienza della persona che passa dalla porta”.
E ancora: “Nel concreto, i progetti che vengono fatti sono di autogestione. I ragazzi hanno delle mansioni: gestione dei soldi comuni o della farmacia, intesa come dispensatrice di generi di prima necessità, dalle pomate ai cerotti. Ci sono le pulizie da fare; e poi siamo in mezzo al verde, bisogna curare l’orto ed occuparsi degli animali che abbiamo”.
Ma quando una persona viene riabilitata, cosa può fare la comunità per aiutarla a reinserirsi in società? “In questo periodo di crisi, a differenza del passato, non riusciamo sempre a garantire il lavoro. L’uscita, comunque, è sempre accompagnata: ci si assicura che la persona abbia una casa ed un reddito, che sia una pensione di invalidità od una borsa lavoro concordata con i servizi. Inoltre abbiamo appartamenti d’appoggio in Liguria ed in Piemonte”.

Ilaria Zanazzo

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